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Home » Politica » DECRETO SICUREZZA/ Maresca: un giro di vite necessario per arginare gli effetti delle false libertà

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DECRETO SICUREZZA/ Maresca: un giro di vite necessario per arginare gli effetti delle false libertà

Catello Maresca
Pubblicato 1 Giugno 2025
Camera

Votazione alla Camera dei deputati (Ansa)

Il parlamento sta convertendo in legge il dl sicurezza del 4 aprile scorso. 14 nuove fattispecie di reato e 9 aggravanti. Una stretta necessaria

Quattordici nuove fattispecie di reato e nove aggravanti e qualche altra ipotesi di daspo: è la stretta approvata dalla Camera in materia di sicurezza. Poi, lotta ai ladri di case e tutela legale sacrosanta per le forze dell’ordine, sfiorando solo per le detenute madri e la resistenza passiva durante le rivolte il complesso mondo carcerario.


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Questo, in estrema sintesi, il contenuto, molto dibattuto e controverso, del cosiddetto decreto sicurezza, varato dal Consiglio dei ministri lo scorso 4 aprile e attualmente in fase di conversione.

In generale, si tratta di un giro di vite su varie situazioni: dalle pene severe per chi protesta, attuando un blocco stradale, o per chi manifesta contro un’opera pubblica, fino alle misure anti-accattonaggio o alle aggravanti introdotte su determinati delitti, se compiuti nei pressi di stazioni.


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È indiscutibile che esista, purtroppo non da oggi, una questione di sicurezza, soprattutto nelle grandi città, e che la deriva permissivista, ormai, sia giunta all’eccesso di tollerare o addirittura di legittimare la qualunque.

I violenti hanno preso il sopravvento sui manifestanti pacifici, l’aggressività prevale oramai sulla buona educazione e finanche sul buon senso. Le persone perbene sembrano un pugile nell’angolo di fronte alla furia incontrollata dell’avversario, accecato dalla sete di vittoria. I pugni nello stomaco ci hanno logorato e stiamo quasi per andare al tappeto.

Giornali e talk-show non parlano d’altro, mattina, pomeriggio e sera.


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Abbiamo perso anche l’abitudine e la voglia di indignarci.

Non ci sono più regole riconosciute ed i giovani, soprattutto, crescono e sono allevati prevalentemente dai nuovi “dis-educatori social”, per prepararsi ad un mondo senza valori, né regole, in cui vince il più cattivo e spregiudicato.

La politica, fino ad oggi, non ha saputo o, forse, non ha voluto porre freni, privilegiando un ottuso permissivismo ideologico in nome di una falsa libertà.

Un popolo libero e tendenzialmente felice è quello che si dà buone leggi, come sosteneva il filosofo e giurista napoletano Gaetano Filangieri, nella sua Scienza della legislazione, già sul finire del 1700.

Certo, mi si dirà: buone regole non sono necessariamente sanzioni. Ed è così sicuramente. O almeno non solo sanzioni.

Ma, è anche vero che, al punto in cui siamo arrivati, le sanzioni sono ormai necessarie.

Ho rappresentato l’accusa nei processi, prevalentemente di criminalità organizzata, per 22 anni, ed ho, purtroppo, assistito al crescente degrado di valori che puntualmente sfocia in atti e comportamenti illeciti.

La povertà educativa si verifica quando ai bambini e ai ragazzi viene negata la possibilità di sviluppare le proprie capacità, il talento e le legittime aspirazioni, a causa di limitazioni di risorse e di mancanza di opportunità o di esperienze.

Su questo dovremmo davvero interrogarci.

Cosa è stato fatto negli ultimi 30 anni? Quali esempi e quali modelli stiamo dando alle nuove generazioni?

Soprattutto, bisogna riconoscerlo, cosa è stato fatto, da chi diceva di voler risolvere il problema ed invece ne approfittava, per il proprio lucro personale o di partito?

Sembra una situazione simile a quella che Leonardo Sciascia, negli anni Ottanta, attribuì ai “professionisti dell’antimafia”, in un settore molto affine a quello della sicurezza.

Si tratta degli stessi “promotori dell’estetica dei valori” che hanno continuato a proliferare in maniera incontrollata, sostenendo ipocriti proclami e non raggiungendo nessun risultato.

Non credo che le norme del decreto sicurezza siano perfette, anzi. Alcune sicuramente non supereranno il vaglio della Corte Costituzionale, vigile molto severo sui diritti fondamentali, a partire da quello di manifestazione del pensiero.

Non penso che gli autori delle norme, approvate alla Camera in settimana, siano studiosi del pensiero illuministico, né sofisticati pensatori, e questo non è certo un bene. Ma, forse, è arrivato il momento di dare il segnale – come si dice in gergo – di una inversione di tendenza.

Allora, speriamo che sia un primo, non primordiale, segnale per le persone perbene, per quelle che si scandalizzano ancora quando vedono giovani aggredire i poliziotti o imbrattare e danneggiare opere d’arte.

Oppure, almeno, che dia un po’ di respiro ai genitori che si preoccupano ancora delle figlie e dei figli che escono la sera e tornano tardi.

Che possa essere almeno un parziale ristoro per i parenti delle vittime innocenti di una brutalità ormai fuori controllo.

Certo è solo l’inizio, ma da qualche parte bisognava iniziare.

La devianza, soprattutto giovanile, è il vero male delle società moderne e da domani speriamo possa diventare il primo punto di un’agenda politica, seria e avveduta, che deve essere scritta da persone capaci e competenti.

Non abbiamo più, purtroppo, figure alla Croce, Vico, Filangieri o De Crescenzo (Luciano ovviamente), e la politica pensa di non averne bisogno. Invece, dobbiamo iniziare di nuovo a pensare, a fare diagnosi tempestive e ad ipotizzare interventi efficaci sulle questioni nevralgiche.

Lo dobbiamo oggi a Martina Carbonaro, solo l’ultima delle troppe vittime di questa deriva che ancora piangiamo.

Lo auspichiamo da tempo e la speranza, almeno quella, è l’ultima a morire.

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Tags: Giorgia MeloniGoverno Meloni

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