Trump avrebbe chiesto a Netanyahu di smettere di bombardare Gaza e di non attaccare l’Iran per non ostacolare i suoi affari e quelli degli USA
Una telefonata di Trump a Netanyahu e un invito pressante: finire la guerra a Gaza e non attaccare l’Iran. Sarebbe questo il tenore della conversazione fra il presidente USA e il premier di Israele, secondo quanto riferito da media israeliani. Trump si è presentato come il pacificatore, osserva Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, ma finora non ha risolto nessun conflitto: per questo sta facendo pressioni perché Tel Aviv assecondi le sue richieste, snobbando gli allarmi israeliani su un accordo con Teheran sul programma nucleare che, alla fine, rischierebbe di favorire solo gli ayatollah.
In realtà, il presidente americano non ha in mente solo la pace, ma gli affari (anche personali) che vorrebbe realizzare in Medio Oriente. Compresa una Trump Tower a Damasco.
Secondo Channel 12 e la tv pubblica israeliana Kan (riportati da Times of Israel), Trump avrebbe detto a Netanyahu che deve porre fine alla guerra a Gaza e che non deve attaccare l’Iran. Una delle tante dichiarazioni del presidente americano, oppure siamo a una svolta?
Trump è stato eletto sulla base di un’agenda che non prevedeva più guerre, ma affari ed entrate economiche per gli Stati Uniti. Qualsiasi focolaio, per lui, è un problema perché lo distoglie da un’agenda che non vuole orientata verso l’impegno militare fuori dai confini, ma verso le opportunità di business per il suo Paese e per sé stesso. Non è riuscito a risolvere il conflitto in Ucraina né in 24, né in 48 ore, anzi, probabilmente non ci riuscirà ancora a lungo perché ha a che fare con un avversario fermo sulle sue posizioni e con un “alleato”, che sarebbe l’Ucraina, per niente disposto a fare concessioni. L’unica cosa che può tentare di presentare come successo diplomatico è, da un lato, far finire la guerra a Gaza e, dall’altro, trovare un accordo con l’Iran, stabilizzando tutto il Medio Oriente e creando grandi opportunità di affari con i Paesi del Golfo, che è la cosa che gli interessa di più.
Il discorso fatto a Netanyahu, quindi, nasce dalla necessità di “portare a casa” finalmente qualche risultato in politica estera?
Trump deve accreditare l’immagine del pacificatore e, soprattutto, di colui che è riuscito a stabilizzare un’area strategica sul piano economico per gli Stati Uniti e per lui come famiglia: ha un progetto per costruire una Trump Tower anche a Damasco. Per questo non vuole che la regione sprofondi nella guerra. Non solo a Gaza, ma anche l’Iran.
Ma riuscirà, al di là delle parole abbastanza decise, a convincere Netanyahu a smettere di bombardare?
È una situazione in cui si vedrà quanta influenza hanno gli USA su Israele e quanta libertà ha invece Tel Aviv di perseguire una propria agenda incurante degli interessi statunitensi. Abbiamo sempre la percezione che America e Israele siano alleati strettissimi, con un’agenda che combacia perfettamente, ma non è sempre stato così. Solo che le divergenze non sono mai venute a galla come in questo periodo, in cui sappiamo che ci sono diversità di vedute fra Trump e Netanyahu. Questo momento è un test della solidità delle relazioni tra i due Paesi, di quanto gli interessi combacino veramente.
Gli iraniani sembrano più aggressivi nelle trattative per un accordo sul loro programma nucleare, tanto che lo stesso Trump ha mostrato un po’ meno fiducia nel negoziato. Teheran si è fatta influenzare dalla Russia, infastidita da una posizione USA un po’ altalenante nei colloqui per l’Ucraina?
Credo che ognuno degli attori di questo panorama, a cominciare dai più piccoli come Hamas e passando per l’Iran e per la Russia, abbia una sua agenda. Se l’Iran ha l’opportunità di normalizzare i rapporti con gli Stati Uniti a condizioni vantaggiose per Teheran, difficilmente si farà influenzare dalla Russia, perché l’Iran ha tutto l’interesse a far finire un embargo che dura da anni e che ha un forte impatto sull’economia. Il regime iraniano è uscito da questa ultima fase particolarmente indebolito: i suoi proxy nell’area, da Hamas a Hezbollah, agli Houthi, hanno tutti preso batoste non indifferenti. Questo è il momento per Teheran di spuntare un accordo, probabilmente anche gli Stati Uniti sperano di ottenerlo perché si rendono conto che l’Iran è in una posizione alquanto debole.
Le trattative sono iniziate da un po’ e danno l’impressione, a voler essere ottimisti, di versare in una fase di stallo. C’è effettivamente una possibilità di intendersi?
Se Trump ha avviato dei negoziati e fa pressione su Netanyahu significa che la sua amministrazione ci crede. Che poi, nelle trattative, ci siano fasi di tensione e stallo è normale, fa parte anche del modo di fare di Trump. Lo vediamo anche sulla questione dei dazi, dove ogni giorno cambia idea. Bisognerà avere pazienza e vedere dove porterà questo percorso, senza nutrire grandi aspettative, ma senza neanche perdere ogni speranza.
Se non dovessero arrivare a questo accordo, gli americani potrebbero convincersi ad attaccare per essere sicuri che gli iraniani non abbiano l’arma nucleare?
Gli Stati Uniti non hanno interesse a far scoppiare un nuovo focolaio, tra l’altro molto più grande e dalle conseguenze potenzialmente mille volte peggiori della guerra di Gaza. Credo che, in caso di fallimento dei negoziati, ci sarà semplicemente un inasprimento delle sanzioni su Teheran, sperando di esercitare ulteriori pressioni sugli ayatollah per ritardare un eventuale programma nucleare con fini non pacifici. Al massimo, gli USA potrebbero autorizzare qualche colpo non ufficialmente rivendicato da Israele, ma non credo che si lancerebbero, o spingerebbero Israele, in un’avventura dalle conseguenze non esattamente calcolabili.
Netanyahu potrebbe assecondare la richiesta di Trump di porre fine alla guerra di Gaza o è tutto da vedere?
È tutto da vedere anche se Netanyahu rimarrà al governo. Tutto è possibile.
(Paolo Rossetti)
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