Maturità 2025, traccia svolta C1. Paolo Borsellino, i giovani, la speranza e la lotta alla mafia: educazione, voce e resistenza per un futuro migliore.
Prima Prova della Maturità 2025: ecco qui di seguito la traccia svolta per il tema di attualità C1, il brano del giudice Paolo Borsellino dal titolo “I giovani, la mia speranza”. Per leggere le altre tracce svolte della prima prova ecco la diretta live dell’Esame di Maturità su “IlSussidiario.net”
Il giudice Paolo Borsellino (1940-1992) è un mito del nostro tempo e della nostra Repubblica che ci aiuta a riconoscere il valore dell’impegno civile di ciascuno. L’inguaribile ottimismo che permea questo scritto è dato dal fatto che, una volta compreso il valore dell’educazione pubblica, essa può trasmettere i valori fondamentali alle generazioni successive.
Il problema che viene introdotto riguarda quella che potremmo denominare “fenomeno mafioso”, il quale consiste non solamente nei rapporti tra associazioni mafiose, ma nel considerarle dei veri e propri fenomeni sociali, fatti di ritualità e di quotidianità, di scambi e di favori, di omertà e di consenso.
Comprenderne le cause sociali è forse uno dei pochi mezzi per sradicare all’origine questo fenomeno. “Impossibile”, si dirà. Probabile, ma il tentativo di costruire uno Stato giusto è l’obiettivo nel quale ogni cittadino deve perseverare come inclinazione personale, come Borsellino ha testimoniato.
La retorica del “combattere la mafia”, perseguita da ogni politico o da chiunque abbia un ruolo pubblico, resta un mantra da ripetere ogni volta che si tocca la questione. Ma chi agisce? Chi parla recando danno a tali associazioni a delinquere? Chi promuove movimenti che autenticamente mettono in scacco questo fenomeno? Chi ha il coraggio di cambiare lo status quo?
Forse l’ottimismo di Borsellino risiede proprio in questo, nel riconoscere che la voce, flebile strumento che possediamo, può essere il luogo in cui accade un evento inatteso, una ribellione verso un sistema che opprime, soffoca e intorpidisce la vita del singolo e dello Stato.
Allora, oltre a comprendere il “fenomeno mafioso” dalle sue radici fino a tutte le sue spine, riabilitare il valore sovversivo della voce, di quella voce che non tace, che prende corpo dalle discussioni a tavola con i parenti fino alle piazze d’Italia, può modificare le cose, può denunciare tali fenomeni e far sì che quella speranza incominci non più a tendere verso una meta (antico significato che la parola speranza possiede), ma a muoverci verso di essa, come Borsellino ha inaugurato.
Il sonno del Leviatano
Risulta evidente che, più lo Stato si sottrae alla sua funzione sociale – da un lato non trattando adeguatamente problematiche come possono essere la sanità o l’istruzione, da un altro perdendo la propria funzione unificatrice, non sapendo creare dei contenitori in cui la volontà individuale si riconosca ed accetti una volontà collettiva -, più emergono società o aggregazioni che ne prendono il posto. Oltre alla questione dell’identità, accennata nell’estratto, risulta più evidente la questione della sicurezza che il fenomeno mafioso riesce in certe zone a controllare.
Il grande Leviatano si dimostra inefficace e fallimentare nel momento in cui non riesce a garantire sicurezza. Questo fallimento apre lo spazio a dei poteri alternativi che sostituiscono lo Stato proprio là dove esso si ritira o si dimostra assente. In questo senso la mafia diviene paradossalmente lo “Stato che c’è”, che è presente, perché interviene nei conflitti, impone regole e distribuisce “aiuti”. Non solo, dunque, forza che terrorizza, ma organizzazione che assicura protezione.
Proprio laddove non si comprende la funzione e il senso dello Stato, si crea il consenso verso altre organizzazioni. Non è un caso che Borsellino si soffermi sulla parola consenso, ad indicare il sentire comune che viene orientato verso un’altra direzione da quella civile: questa ha il suo fondamento nella Costituzione, quella si fonda sulle leggi della forza, dove la potenza opprime il senso della legge giusta.
Fare fatica, farla Bene
Come uscire da questo scenario, che sta assumendo tratti grotteschi, per non dire apocalittici? Dove lo Stato, che ha perso la sua funzione, viene rimpiazzato dal fenomeno mafioso? Dove la mafia mostra il suo carattere seducente e rassicurante?
La lotta alla mafia assomiglia, per molti aspetti, alla fatica di Sisifo, il personaggio mitologico che è costretto a spingere una pietra più grande di lui in salita ogni giorno e, non appena raggiunge la cima della salita, la pietra rotola giù. Anche Borsellino, probabilmente, era consapevole della dimensione tragica: i successi giudiziari erano parziali, il fenomeno mafioso sempre più radicato, il consenso sempre più forte. Tuttavia non smise, scelse di non rinunciare al proprio compito, perché dentro quella fatica c’è uno scopo più alto: la dignità, la resistenza, la testimonianza.
Albert Camus, rileggendo il mito di Sisifo, ci consiglia di “immaginare Sisifo felice”, non perché ignori la tragicità della sua condizione, ma perché la accetta e la trasforma come un atto di libertà e di significato (su cui poter creare il con-senso!). Così anche la lotta alla mafia, senza illusioni e trionfalismi, può trovare un senso nella sua fatica quotidiana nel momento in cui non viene perseguita come semplice opposizione a qualcosa, dove io mi oppongo a te, noi a voi, in una logica polemica e oppositiva, ma nel trovare un senso alla fatica quotidiana: educare, denunciare, raggiungere un bene superiore.
Non si vince in un giorno, nemmeno in una generazione, ma ogni piccolo movimento della pietra è un passo in più verso un futuro diverso, finalizzato a raggiungere il Bene, che supera tutte le altre cose, come ricorda Platone, “per dignità e potenza”.
