Dalle nuove e ultime disposizioni del bonus Maroni 2025, si appurano nuovi beneficiari. Ecco chi potrà goderne e l'analisi sulla convenienza.
Una recente circolare dell’INPS ha chiarito i requisiti minimi per rientrare nel bonus Maroni 2025, una misura che coinvolge sia i lavoratori dipendenti statali sia privati che, alla fine di quest’anno, avrebbero maturato le condizioni per poter accedere all’uscita anticipata (sia ordinaria che flessibile, con Quota 103).
I recenti chiarimenti dell’ente sono arrivati e trascritti all’interno del documento risalente allo scorso 16 giugno, facendo riferimento alle nuove disposizioni, ai requisiti minimi richiesti e agli obblighi da dover rispettare.
I nuovi requisiti del bonus Maroni 2025
Il bonus Maroni vale anche nel 2025 e, a differenza delle volte scorse, la platea di beneficiari si amplia, motivo per cui l’incentivo è anche noto come “indennità Giorgetti“. Tra i primi soggetti coinvolti ci sono coloro che, entro quest’anno, potrebbero usufruire di Quota 103 (pur essendo tra le misure di pensionamento anticipato che verranno cancellate) e chi ha già versato 42 anni e 10 mesi di contributi INPS. L’incentivo implica che il datore di lavoro del dipendente che vuole restare al lavoro pagherà sempre la quota contributiva IVS, mentre la parte esente da tassazione (e che farà aumentare il salario in busta paga) sono i contributi a carico del lavoratore.
Quest’anno, grazie all’ampliamento della platea (permesso grazie all’ammissione di chi soddisfa i requisiti del pensionamento anticipato e non solo della Quota 103), il Governo ha ipotizzato circa 7.000 lavoratori beneficiari dell’incentivo Maroni.
Gli effetti del bonus Maroni
Una “controindicazione” del bonus Maroni del 2025 – seppur poco discussa – riguarda gli effetti prodotti sul montante contributivo di ogni pensionato. Se è pur vero che il premio riguarda l’aumento in busta paga per restare al lavoro, è altrettanto vero che il montante, in futuro, sarà più basso. Al momento in cui si esce dal lavoro, l’esonero contributivo destinato all’aumento in busta paga produrrà un montante più basso e, dunque, anche il cedolino previdenziale conterrà un importo inferiore al calcolo originario.
In poche parole, i lavoratori che restano per tanto tempo al lavoro (fino al raggiungimento dei 67 anni d’età) e, nonostante abbiano maturato i requisiti per lasciarlo, vedranno ridursi in futuro la loro pensione.
