Missili sulle basi USA in Qatar, Iraq e Siria: l'Iran ha sferrato una risposta solo dimostrativa. Da Trump l'annuncio della tregua
Dieci missili sulle basi USA in Qatar, uno su una base in Iraq e colpi di mortaio in Siria. Il tutto telefonando prima a Doha per specificare che i qatarini restano amici fraterni. La grande risposta dell’Iran alle bombe bunker buster degli americani, osserva Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri con all’attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, si riduce a un attacco meramente dimostrativo. Un messaggio che la Repubblica Islamica non intende alzare il livello delle ostilità. Trump ha ringraziato l’Iran dell’avvertimento.
Le modalità dell’attacco iraniano a Doha hanno creato le basi della svolta, arrivata nella notte con l’annuncio da parte del presidente americano della tregua tra Iran e Israele. La guerra ha comunque aperto ferite profonde e sedersi al tavolo delle trattative non sarà facile.
Generale, come si può definire la risposta iraniana all’attacco sferrato dagli USA ai loro siti nucleari?
È stato un attacco telefonato. Nel senso che hanno preventivamente avvisato il Qatar che ci sarebbe stato.
Gli iraniani hanno specificato che si è trattato di un attacco alle basi USA, ma non agli amici fraterni di Doha. Perché Khamenei ha deciso di reagire così?
Il Qatar si è anche un po’ arrabbiato, pare che ci sia stata una violazione della sovranità. Alla fine mi auguro che non ci sia un innalzamento della tensione. Ma non credo. Lo interpreto come un attacco dimostrativo, perché l’Iran non ha motivo di allargare il conflitto agli americani: è già perdente con Israele. Teheran si è limitata a dare dimostrazione che non accetta interferenze altrui. Ha ribadito che a ogni attacco americano ci sarà una risposta iraniana, ma sono quelle risposte fornite per non farsi mettere i piedi in testa, almeno verbalmente. Ma non si va oltre.

Questo vuol dire che gli iraniani sono disposti anche a tornare a trattare?
Non credo che intendano farlo subito, perché la ferita è ancora aperta. Comunque, gli israeliani l’hanno escluso: non c’è nessun motivo di trattare. E anche per gli americani diventa difficile chiedere agli ayatollah di negoziare subito dopo aver bombardato i siti nucleari e senza l’avallo di Israele.
Media israeliani sostengono che Israele vuole chiudere gli attacchi entro fine settimana. Un’ipotesi credibile?
È la scadenza dei 14 giorni che era stata annunciata da Netanyahu. Gli israeliani hanno eliminato le basi missilistiche che conoscevano, poi i capi del regime, dei Pasdaran, mentre adesso stanno puntando sugli aeroporti. Hanno un progetto e lo stanno eseguendo. Vedremo cosa faranno in questi sei giorni che mancano e poi capiremo se si riterranno soddisfatti. Sicuramente hanno colpito molti obiettivi: non sappiamo ancora quale sia l’entità dei danni ai siti nucleari, ma le menti del programma le hanno eliminate tutte.
Se i siti sono distrutti o almeno gravemente danneggiati e le operazioni militari volgono al termine, i negoziati potrebbero non servire più?
Potrebbero anche non riattivarli. Se a questo punto l’Iran si rimette ad arricchire l’uranio, comincia un’altra guerra. Forse israeliani e americani speravano in una rivoluzione interna che abbattesse il regime. Ma è difficile. Ho sempre pensato che non fosse possibile, anche perché ci sono 200mila Pasdaran in Iran: il potere e le armi li hanno loro. Cosa può fare contro di loro un’opposizione, per quanto numerosa, fatta di ragazzi e di ragazze? Se l’opposizione avesse voluto avere una chance di rovesciare il regime, avrebbe dovuto chiedere aiuto a Israele e Stati Uniti.
Lo scenario più probabile, quindi, è quello di un regime che resterà al suo posto?
Gli israeliani potrebbero chiudere il loro programma di 14 giorni e, alla fine, lasciare nel Paese un regime indebolito, molto indebolito.
(Paolo Rossetti)
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