Italia, Francia e Germania discutono un piano per rilanciare l’automotive che potrebbe far cadere Von der Leyen, indecisa su come salvare il settore
Un piano a tre per rilanciare il settore automobilistico europeo, messo in crisi dalle aziende cinesi e dalla decisione UE di vietare dal 2035 la produzione di auto che non siano elettriche. Lo stanno approntando la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Friedrich Merz.
Un piano che può costringere Ursula von der Leyen, spiega Pierluigi Bonora, giornalista de Il Giornale ed esperto del settore automobilistico, a modificare nella sostanza i diktat green di Bruxelles, o forse addirittura a dimettersi per non dover rinnegare quello che ha fatto la sua precedente Commissione.
Occorre puntare sulla neutralità tecnologica e sulla revoca delle sanzioni per le aziende che non rispettano i limiti di emissioni previsti da Bruxelles. Ma bisogna fare presto: il settore automotive, soprattutto quello italiano, soffre troppo e ha bisogno di un intervento immediato.
Meloni, Macron e Merz starebbero concordando delle linee comuni per il rilancio del settore europeo dell’auto. Stavolta può arrivare la spinta per eliminare le storture del Green Deal sul comparto automotive?
Alla Meloni direi che fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio. Finora ha tenuto la barra dritta su questo tema, mentre i francesi e i tedeschi stanno cercando di rimediare agli errori commessi in precedenza. Hanno sottovalutato tanti problemi derivati dall’adesione incondizionata a un’ideologia green dannosa per il sistema europeo generale e per l’automotive in particolare. E adesso stanno cercando di correre ai ripari. Giorgia Meloni, in questo momento, è riconosciuta come leader a livello europeo e si aggrappano a lei per cercare di cambiare le cose.

Francia e Germania stanno cambiando idea sulla scelta esclusiva delle auto elettriche?
Il Green Deal ha visto la Francia di Macron sposare la scelta dell’elettrico fin dall’inizio, condizionando le scelte di Tavares, quando era alla guida di Stellantis, e quelle di Luca de Meo, sia come guida della Renault che come presidente dell’associazione europea dei costruttori di autoveicoli (ACEA). Da parte tedesca, Merz, che è appena arrivato, ha capito che bisogna invertire la tendenza, che sull’elettrico comanda la Cina e quindi bisogna salvare il salvabile.
Tre Paesi così importanti per l’Europa riusciranno a far cambiare rotta alla UE?
Se la Meloni si è messa su questa strada, vuol dire che qualche speranza di riuscirci ce l’ha, perché è quello a cui puntava. Ursula von der Leyen, che immeritatamente si è ritrovata a governare ancora la Commissione europea, in questo momento non sa che pesci pigliare. Gli europei hanno votato in una certa maniera e si sono ritrovati una UE che non ha rispettato assolutamente il voto espresso.
Così, adesso, von der Leyen ha da una parte Meloni, e adesso anche Macron e Merz, che dicono una cosa, e dall’altra i Verdi, che non vogliono rinnegare tutto quello che è stato fatto prima. Per questo aspetta di vedere cosa succede: se questo terzetto funziona e presenterà delle proposte, dovrà prenderne atto. Il sistema economico e l’automotive non possono aspettare oltre, hanno aspettato già troppo. Siamo sull’orlo del collasso, soprattutto l’Italia: le fabbriche sono al minimo, i fornitori perdono commesse.
Germania, Francia e Italia devono puntare sulla neutralità tecnologica?
Sì, è la soluzione migliore, la più democratica. Non cancella l’elettrico, ma lascia la libertà di scelta alla gente: il mercato, con le sue indicazioni, non è stato per niente considerato. Si può procedere con i biocarburanti, l’elettrico, l’ibrido. La politica non può imporre una tecnologia.
Questa iniziativa di tre Stati fondatori della UE ha risentito anche delle prese di posizione degli industriali? In Italia, Confindustria ha detto chiaramente che è per la neutralità tecnologica.
I dati parlano chiaro: in Italia, la produzione è tornata ai livelli di decenni or sono. Un tempo, Mirafiori produceva 400.000 auto; adesso, vengono prodotte da tutti gli stabilimenti italiani del gruppo. Non bastano la cassa integrazione e le uscite incentivate. Sono soldi spesi che non cambiano la situazione.
Bisognerà agire anche sulle sanzioni previste per le aziende che non si uniformano al dettato green?
Se una casa automobilistica non rispetta i limiti imposti per le emissioni, può acquisire dei crediti da altre aziende che sono in regola. Non mi sembra una grande trovata, soprattutto perché intanto se ne avvantaggiano i cinesi o la Tesla di turno. Italia, Germania e Francia sono ascoltate, ma non è ancora detto che vadano fino in fondo. Non si capisce bene qual è il piano intorno al quale stanno lavorando; speriamo lo facciano conoscere il più in fretta possibile, con la massima trasparenza. È fondamentale. Non si può aspettare oltre l’estate. Qui, a settembre, tutto deve essere chiaro, deve emergere un piano.
Von der Leyen potrebbe pagare politicamente un eventuale cambio di rotta?
Timmermans se n’è andato via quando ha capito che l’aria stava cambiando. C’è chi dice che von der Leyen, piuttosto che ammettere l’errore, lasci. Può darsi che, arrivati al dunque, la presidente della Commissione, invece di assecondare le richieste di tre Paesi così importanti, preferisca dimettersi.
Quali sono, comunque, le priorità su cui intervenire: la neutralità tecnologica e togliere le sanzioni?
Sì. E cancellare questo Green Deal ideologico che non sta in piedi. Meloni, comunque, deve fare attenzione a Macron e Merz. Non vorrei che, se si ottiene qualcosa, alla fine dicano che è merito loro. Oppure che la “pugnalino alle spalle”. Occorrono intese precise, controfirmate da tutti, così che, se cambiano idea, non possono rimangiarsele. L’importante è che decidano in fretta: a settembre, le fabbriche devono riaprire. La Fiat dice che adesso produrrà 200.000 modelli all’anno della 500 ibrida, però non è una macchina nuovissima; doveva essere già a Mirafiori da almeno due anni. Non si può perdere altro tempo.
(Paolo Rossetti)
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