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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » I DAZI VISTI DALL’ITALIA/ “Il 20% un disastro, il 10% gestibile: c’è il pericolo del finto made in Italy”

  • Economia Internazionale
  • Economia UE

I DAZI VISTI DALL’ITALIA/ “Il 20% un disastro, il 10% gestibile: c’è il pericolo del finto made in Italy”

Int. Vittorio Cino
Pubblicato 8 Luglio 2025
Una nave portacontainer al porto di Genova (Ansa)

Una nave portacontainer al porto di Genova (Ansa)

I dazi USA al 20% sarebbero un grave danno per l’Italia. Nell’alimentare favorirebbero prodotti che non hanno niente a che vedere con il nostro Paese

Il 20% sarebbe un disastro, il 10% gestibile (ed è la quota a cui punterebbe la UE), al di sopra di questa cifra i problemi aumenterebbero progressivamente. La UE dovrebbe definire a breve con gli USA l’entità dei dazi che Trump vuole imporre alle merci europee, ma le notizie che arrivano da Washington non sono molto rassicuranti. Gli americani, infatti, dal 1° agosto imporranno tariffe del 25% a Giappone, Corea del Sud, Malesia, Kazakhstan, ma anche del 30% al Sudafrica e 40% a Laos e Myanmar.


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Quello che pesa di più, sostiene Vittorio Cino, direttore generale di Centromarca, è il clima di incertezza che le iniziative di Trump generano nell’economia mondiale, destinata ad attendere una decisione definitiva che non arriva. Nel frattempo, i settori alimentare, farmaceutico e automotive sono quelli che rischiano di più, anche se il consumatore americano nell’alimentare dà molto valore al made in Italy e, prima di rinunciarvi, potrebbe pensarci due volte. In questo campo, però, potrebbero approfittarne prodotti che assomigliano a quelli italiani pur non essendolo affatto. Un finto made in Italy presentato come italiano anche se non lo è.


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Dazi al 25% per Giappone e Corea del Sud e anche un 10% in più per chi sostiene i BRICS. Le ultime scelte di Trump non fanno ben sperare l’Europa?

Siamo in attesa. I dazi non ci fanno piacere in assoluto, tuttavia c’è un livello accettabile e un livello non accettabile. Abbiamo fatto una ricerca con Nomisma per ipotizzare l’impatto rispetto a eventuali dazi americani: se fossero intorno al 20% la situazione sarebbe preoccupante, il 10% non ci piacerebbe, ma sarebbe gestibile, mentre sopra il 10% sarebbe tutto più grave. È chiaro che questo è un discorso generale, perché ci sono delle differenze abbastanza nette tra categorie, anche se rimaniamo nell’ambito alimentare. Ma c’è un aspetto ancora più grave di questo.


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Quale?

Il grado di incertezza generale: stiamo andando avanti da mesi in una sorta di limbo, un elemento che aggrava la situazione e complica la vita a tutti, a chi importa e a chi esporta. I primi mesi dell’anno si sono contraddistinti per le forti importazioni americane di prodotti italiani: molti importatori USA si sono portati avanti acquistando grandi quantitativi, per esempio di vino, proprio in previsione dei dazi. Poi la tendenza si è attenuata e c’è stato un periodo di relativo ottimismo. Ora, invece, di fronte alle ultimissime comunicazioni, la preoccupazione è tornata abbastanza alta. Non possiamo far altro che aspettare e capire che succede. Spero davvero che la proposta americana nei confronti d’Europa sia diversa da quella che stiamo vedendo in queste ore per Giappone e Corea del Sud.

Quali settori potrebbero sentire maggiormente il peso dei dazi? Alimentare, farmaceutico e automotive rimangono quelli più a rischio?

Sicuramente i settori più a rischio sono quelli dove l’elasticità di prezzo è più alta, in cui è difficile assorbire l’aumento dei tassi. Sono comparti in cui tutto si scarica sul pezzo finale: aumenti del 20-25% per il consumatore medio americano sarebbero difficili da accettare. Non stiamo parlando di prodotti di lusso, ma di beni per i quali il prezzo incide nella scelta. Le nostre ricerche mostrano come il consumatore americano è molto attento al made in Italy e, rispetto anche ad altri competitor, noi godiamo di questo vantaggio legato al forte apprezzamento dei prodotti.

Un apprezzamento che ci fa correre meno rischi rispetto ad altri Paesi esportatori?

È un elemento che ci aiuta; allo stesso tempo, proprio perché il made in Italy è forte, non vorremmo che l’aumento dei prezzi nell’alimentare favorisca l’italian sounding, vale a dire prodotti che evocano il nostro Paese con disegni, parole o immagini, ma non sono prodotti italiani. Può succedere che un consumatore americano si confonda perché vede sull’etichettatura una bandiera italiana e acquisti, attirato dal prezzo molto più basso, un prodotto che, appunto, italiano non è, ma essendo realizzato in loco non subisce l’aumento dovuto ai dazi.

La scadenza per l’inizio dei dazi europei era fissata al 9 luglio, ora sarebbe stata spostata al 1° agosto. Cosa si deve aspettare l’Europa?

È talmente incerta la situazione che non saprei cosa dire. Può accadere di tutto. A questo punto direi che non ci sono molte certezze.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpEconomia USA

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