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Home » Turismo e Viaggi » TURISMO/ 10 luoghi comuni da sfatare sul settore in Italia

  • Turismo e Viaggi

TURISMO/ 10 luoghi comuni da sfatare sul settore in Italia

Alberto Beggiolini
Pubblicato 15 Luglio 2025
Turisti stranieri a Roma (Ansa)

Turisti stranieri a Roma (Ansa)

Un report di Antonio Preiti edito da Federalberghi aiuta a far luce sulla complessità del turismo, su cui pesano alcuni luoghi comuni

Il turismo è uno dei settori produttivi italiani più soggetto, soprattutto in tempi recenti, a fake news, stereotipi, luoghi comuni. Adesso Antonio Preiti (economista, docente all’Università di Firenze, responsabile di Sociometrica) tenta di arginare questa deriva con un nuovo report “Il petrolio dell’Italia – i luoghi comuni che fanno male al turismo (e al Paese)”, edito da Federalberghi e dal Centro di formazione management del terziario.


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“L’obiettivo – spiega il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca – è liberare il turismo da false percezioni, riconoscendo il suo valore reale e potenziale, in modo da costruire consapevolezza e promuovere un dibattito pubblico più informato e positivo”. “Il problema – sostiene Preiti – è la qualità del dibattito pubblico, che rinuncia all’analisi accurata, per assecondare ogni percezione immediata, ogni considerazione che apparendo magari verosimile, perciò stesso viene assunta come vera, o ancora peggio, incoraggiando ciò che appare appunto un luogo comune e niente di più”.


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Vale la pena allora esaminare i dieci luoghi comuni sul turismo analizzati nel report di Preiti.

Cominciamo con quello che da il titolo al lavoro: Il turismo è il petrolio dell’Italia. Ma paragonare il turismo al petrolio è riduttivo e fuorviante. Bisogna riconoscere e valorizzare l’importanza del lavoro e delle competenze necessarie per trasformare il patrimonio storico-artistico in reale valore economico e sociale. Qual è il senso di questo fenomeno linguistico?

È molto semplice: siamo stati graziati dalla storia che ci ha donato un patrimonio, oltre che storico anche paesaggistico, e perciò si tratta di sfruttarlo. La percezione di semplicità del mercato petrolifero è disarmante: il petrolio va cercato e trovato, va estratto, va raffinato, va trasportato, va distribuito nelle pompe di benzina di tutto il mondo e vi si deve creare attorno un marketing adeguato.


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Altro luogo comune: Non possiamo essere un popolo di camerieri. L’idea che il turismo renda gli italiani un popolo di camerieri è sbagliata. La qualità del servizio nel turismo contemporaneo è un rito sofisticato, un atto professionale e culturale, lontano dall’immagine stereotipata della servitù. Oggi – indica il report – a camerieri e baristi sono richieste soft skills ben precise: flessibilità e adattamento (63%), lavorare in gruppo (62%), lavorare in autonomia (38%), problem solving (34%). La qualità del servizio nel mondo dell’ospitalità coincide con l’intensità dell’impiego di personale su una singola unità di servizio, o per cliente.

La qualità del servizio è un’approssimazione a un ideale. Tende alla perfezione e come tutte le cose umane che tendono alla perfezione, anche se non la raggiungono, si distinguono dal resto, perché mantengono sempre una tensione continua verso il miglioramento, verso il come dovrebbe essere, e sul come si possa raggiungere quella perfezione ideale.

E ancora: Abbiamo oltre la metà del patrimonio culturale mondiale. Ma l’Italia non possiede oltre metà del patrimonio culturale mondiale. Serve meno retorica e più impegno per trasformare questa ricchezza in un reale vantaggio competitivo, investendo in servizi e valorizzazione concreta.

Il detto comune serve solo a toglierci ogni incombenza derivante dal “che fare”, per inoltrarci nell’infinita convinzione che come noi non c’è nessuno, ovvero se la forza del nostro Paese sta nel possedere così tanta eredità artistico-culturale, allora non c’è bisogno di fare altro.

E invece bisogna allargare lo sguardo, quando si parla di patrimonio storico-artistico, anche alla cultura, cioè alla produzione culturale in senso ampio, perché devono essere compresi gli eventi; l’edu-entertainment; le mostre e ogni altra manifestazione culturale (incluse la musica, l’opera, la danza e ogni performing art). Offerta culturale non è solo l’heritage.

C’è poi Il turismo mordi e fuggi. Il turismo breve, spesso criticato come superficiale, è una modalità diffusa e apprezzata in tutto il mondo. Non è un fenomeno negativo, ma un’opportunità che va compresa e gestita con efficacia. Nel suo insieme l’espressione indica lo sfruttamento della città da parte dei turisti: arrivano si prendono il meglio e non ci lasciano nulla.

In realtà, si tratterebbe di ottimizzare la visita in maniera da renderla il più possibile soddisfacente (secondo il criterio che ognuno sceglie). Le vacanze lunghe spese in una o più città sono solo appannaggio del viaggio long-haul, da altri continenti, ma non per il turismo domestico o anche continentale.

E ancora: Il tursimo è solo un ripiego, non una scelta. Il lavoro nel turismo non è necessariamente precario o sottovalutato. Anzi, rappresenta una scuola di vita e un trampolino professionale importante che valorizza competenze trasversali e relazionali. Lavorare nel settore dell’ospitalità ha una caratteristica che lo rende spesso come propedeutico a ogni altro lavoro. È qui che sviluppa una palestra molto particolare, quella determinata dal contatto con gli altri, quasi un conoscere il mondo nella sua varietà in un microcosmo.

Segue Con il turismo consumiamo le risorse del territorio. Il turismo però non consuma semplicemente risorse territoriali, ma genera crescita economica e sociale, rigenerando comunità e territori che altrimenti rischierebbero l’abbandono, come avviene per tutti i comuni montani non turistici.

A differenza delle attività economiche che esauriscono progressivamente le risorse (come l’estrazione mineraria o la deforestazione intensiva), il turismo opera su un modello che è, o può essere, rigenerativo. Questa logica spinge le comunità a migliorare e preservare ciò che possiedono, trasformando l’ambiente circostante in una risorsa sempre più ricca, piuttosto che in un elemento destinato al deterioramento.

C’è poi Il turismo ci fa perdere l’identità. Ma l’identità culturale non è minacciata dal turismo. Al contrario, è proprio attraverso l’ospitalità che comunità locali riaffermano e promuovono i loro tratti distintivi, trasformandoli in valore economico e culturale.

Il turismo è un affare per pochi. Il turismo non è affare esclusivo di pochi imprenditori. La ricchezza generata si distribuisce capillarmente attraverso moltiplicatori economici che beneficiano ampi settori della società e dell’economia. Il turismo appare come un fenomeno leggero, fatto di sorrisi, pernottamenti e alimentazione, ma a ben guardare coinvolge molti settori pesanti dell’economia. Ci sono vari indicatori per stabilire l’impatto della spesa turistica, come il moltiplicatore keynesiano, che misura l’aumento delle vendite in tutti i settori dell’economia derivante da un importo iniziale di spesa turistica.

L’Italia si vende da sola. Ma la bellezza del nostro Paese da sola non basta. È evidente e necessario sviluppare strategie turistiche mirate e digitali per competere a livello globale e soddisfare le esigenze di turisti sempre più informati ed esigenti.

E infine, c’è il re dei luoghi comuni: È tutto overtourism. Il fenomeno dell’overtourism va compreso nelle sue reali dimensioni e gestito attraverso una pianificazione attenta, logistica efficiente e comunicazione mirata, senza demonizzare il turismo in sé. In una civiltà di massa, dove l’istruzione è di massa (per fortuna), la sanità è di massa (ancora per fortuna), i consumi sono di massa (ancora e ancora per fortuna), come fa il turismo a non essere di massa?

Nel turismo la grande trasformazione è il passaggio da una domanda e offerta di pochi (pochi i viaggiatori, pochi gli alberghi) a una domanda e un’offerta di molti, moltissimi, se non di tutti: oltre la metà della popolazione in Occidente fa vacanze e anche l’offerta si è dilatata all’infinito. Bisogna indirizzare le scelte comportamentali (cosa vedere, dove andare, cosa privilegiare) attraverso l’informazione oggi dominata dai big player digitali i quali ovviamente mirano al clickbait (proporre le cose più note per attrarre più click), ma che può radicalmente cambiare se si adottano nelle città gli assistenti virtuali sostenuti dall’intelligenza artificiale e informazione indipendente.

Si può fare promozione su ciò che è meno noto, ma non di minor valore, ovvero al “second best” che attende, avendone le possibilità, di raggiungere una notorietà e frequentazione analoga a quella delle prime della classe.

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