Diventa sempre più evidente l'esistenza di un abisso tra i fatti e le parole intorno a quello che sta accadendo a Gaza
C’è ormai un abisso, di ora in ora sempre più drammaticamente evidente, tra i fatti e le parole, a Gaza e soprattutto fuori dai suoi confini. Un baratro tra quello che accade sul terreno e i pronunciamenti che si rincorrono nell’etere.
Questi ultimi, si badi bene, forse per la prima volta, sono unanimi del definire “inaccettabile” la guerra in corso, “disumano” il trattamento inflitto alla popolazione palestinese, “inaccettabile” la riduzione di bambini, adulti, vecchi letteralmente alla fame. Nessuno più dubita che l’esercito israeliano stia perseguendo la totale distruzione di Gaza e l’espulsione dei suoi abitanti verso l’ignoto, il deserto, i campi di concentramento, l’esilio.
Il Primo ministro inglese Keir Starmer, illustrando ieri sera il documento sottoscritto da venticinque Paesi, in maggioranza europei, con esclusioni eccellenti come la Germania, e Paesi lontani firmatari come il Giappone che non possono compensare ciò che politicamente non è compensabile, ha condannato Israele per bloccare i viveri e tutto ciò che è essenziale alla popolazione palestinese di Gaza. Ma, non solo. Ha detto che è anche inaccettabile perseguire il cambiamento “demografico” della popolazione di Gaza, in altre parole la sua deportazione di massa. Ultima reticenza nell’uso appropriato delle parole, che ha segnato i tanti errori dei Paesi europei dall’inizio di questo conflitto, divenuto la Guerra su Gaza.
Ora, tuttavia, non si discute e non si contesta più il numero dei morti: oggi 59 mila accertati 140 mila feriti, tantissimi in fin di vita, e certamente altre migliaia dispersi sotto le macerie. L’evidenza delle immagini, per troppo tempo nascoste dalle televisioni di stato e da quelle commerciali, fa solo temere un “conto finale” ancor più drammatico.
Non si discute più sull’esistenza o meno di un genocidio in corso: chi sosteneva la sua esistenza aveva buoni argomenti, chi vi si opponeva non ha più il coraggio di ridurli a singoli crimini di guerra, perché troppo vaste sono le distruzioni, troppo crudele la morte indotta dalla fame. E chi si opponeva all’esistenza del genocidio o di crimini di guerra, oggi, portando sulle spalle il peso di essere stato ex comandante dell’esercito ed ex ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon, afferma “in fin dei conti, si stanno commettendo crimini di guerra”.
Poi sono arrivate le cannonate sul tetto della chiesa latina della “Sacra famiglia” a Gaza. La morte di tre parrocchiani, i feriti. L’affermazione che è stato un errore. Eppure, i fatti sono corsi ancor più veloci, riducendo le parole a brandelli. Il Patriarca Pizzaballa, celebrando messa domenica scorsa nella parrocchia di Gaza, ha raccontato che le esplosioni si udivano vicine, sempre più vicine. Segno che altre persone e famiglie intere stavano sotto i bombardamenti o cercavano di sottrarsi ubbidendo all’ordine dell’esercito israeliano di abbandonare le proprie case e di andare verso sud e verso il mare, quel mare, che per colmo della beffa è ora anch’esso vietato ai palestinesi che cercano di raccogliere la sua acqua, per berla.
Perché questa è l’acqua di Gaza, da settimane e in futuro. Il gasolio non arriva più e l’impianto di desalinizzazione ha smesso, da ieri e totalmente, di funzionare. Non arriva, il gasolio, neppure nei pochi ospedali aperti, e le sale operatorie ancora funzionanti si stanno chiudendo. Questo accadeva domenica nella città di Gaza, questo accadeva ieri nella cittadina di Deir al Balah. I carri armati che avanzano nella notte, i funzionari delle Nazioni Unite che rifiutano di allontanarsi dai loro uffici, i bambini in pigiama che corrono a rifugiarsi in quelle stanze. I rastrellamenti notturni.
Forse è stato un errore l’aver colpito anche la parrocchia di Gaza. I tre morti, citati per nome e cognome da papa Leone, è certo si aggiungono a migliaia di altri. “Nei nomi di queste vittime sono presenti tutte le vittime della tragedia di Gaza” ha ripetuto il cardinal Parolin, perché tutti si sentano responsabili di ciò che accade in ogni angolo di Gaza.
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