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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ La fede travolta dalla società dei consumi e l’errore di Pasolini

  • Letture e Recensioni
  • Cultura

LETTURE/ La fede travolta dalla società dei consumi e l’errore di Pasolini

Salvatore Abbruzzese
Pubblicato 23 Luglio 2025
Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini, regista e poeta (ANSA)

Per Pasolini è la società dei consumi ad avere prodotto la mutazione antropologica che ha segnato gli anni del boom. Un’analisi che va corretta (1)

Il lento spegnersi della religione cattolica in Italia, le chiese semivuote e i riti religiosi sempre più disertati costituiscono altrettanti segnali di un processo di secolarizzazione che si è manifestato già da decenni e, soprattutto, si è affermato nel giro di pochissimi anni.

Ne sono prova concreta i grandi seminari degli anni Cinquanta, costruiti per ospitare considerevoli compagini di novelli seminaristi e che ben presto si sono ritrovati ad essere spopolati. Ma ne sono prove altrettanto valide il declino incessante dei matrimoni con rito religioso, al quale ha fatto seguito quello delle cresime e degli stessi battesimi.


FOTOGRAFIA/ Elio Ciol, lo sguardo incantato dal vero di un “contadino nomade”


La teoria della secolarizzazione ha ritenuto di individuare in modo sufficiente le cause di una tale indifferenza verso le pratiche e le credenze religiose nell’avvento della modernità intesa come processo culturale. Un tale disinteresse è stato visto come l’esito necessario di un processo di razionalizzazione tale da disseccare le stesse sorgenti del sacro, riducendo la fede religiosa nel Dio incarnato ad uno dei tanti esoterismi sopravviventi ai margini della società moderna.


QUELLA "STREGA" DEL NOBEL/ Letteratura, quando l'irrilevanza si fa premio (ci salva la poesia)


Da qui il distacco non solo dalla sensibilità religiosa, ma soprattutto dagli imperativi morali che un’appartenenza ecclesiale oramai declinante pensava ancora di vedere sottoscritti.

Al momento della difesa dell’istituto laico del divorzio, sancita dalla vittoria dei “no” all’abrogazione della legge che ne aveva approvato l’istituzione a soli cinque anni dalla fine del Concilio Vaticano II, Pier Paolo Pasolini – “l’unico intellettuale cattolico in Italia” secondo don Luigi Giussani – si oppone vivacemente a questa tesi.

A suo avviso, più che una vittoria laica segno di un’avvenuta secolarizzazione a seguito del progresso moderno, si è prodotta una trasformazione più profonda dell’anima culturale della società italiana, una “mutazione antropologica”.


LETTURE/ Testori e lo "scippo" (cattolico) di Pasolini


Gli italiani, detto qui in estrema sintesi, avevano progressivamente spostato il proprio baricentro culturale verso un nuovo orizzonte di valori nel quale, prima ancora della sensibilità religiosa, erano state le culture di popolo, quelle che contraddistinguevano la “società contadina, l’Italia artigiana e il mondo operaio” ad essere abbandonate.

Se già nel 1957 Guido Piovene, nel suo Viaggio in Italia, era arrivato a parlare di “emigrazione morale”, ciò che si abbandonava non è solo un universo ormai inoperante una volta inserito nel contesto urbano, ma soprattutto un insieme di sensibilità sconfitte sul piano ideale, quello dove si sviluppano i modelli culturali e i valori di riferimento.

Alla base di una simile trasformazione, secondo Pasolini, c’erano i consumi di massa e il loro principale veicolo di diffusione: la televisione. Alle spalle di questi si affermava un benessere di superficie, fatto di consumi secondari intesi come conferme di affermazione sociale, ma anche del primato dell’industria dell’intrattenimento e dei modelli culturali edonisti che così facilmente vi si imponevano. Altrettante affermazioni di un nuovo orizzonte valoriale al quale aveva corrisposto il declino delle culture popolari preesistenti, improntate ai valori del risparmio, dell’impegno e del sacrificio.

Per Pasolini e per tutti coloro che si sono riconosciuti nella sua analisi, l’abbandono silenzioso quanto esteso delle cerimonie liturgiche non aveva avuto quindi alcunché di automatico. Le chiese vuote degli anni Settanta non erano affatto riconducibili né al processo di razionalizzazione e di “disincantamento del mondo” alla base della rivoluzione politica, scientifica ed economica del XVI secolo, né ancor meno erano ricollegabili al trionfo del positivismo della seconda metà del XIX.

L’universo del credere non era stato abbandonato nemmeno a seguito di un’ondata di trionfante anticlericalismo o di fiero agnosticismo laico. Se la dimensione religiosa avesse finito per non occupare più il proscenio, ciò si sarebbe stato prodotto in quanto era stata delegittimata da un mutamento del mondo vitale della vita quotidiana che aveva alterato stili di vita e modelli di comportamento.

All’origine di una tale trasformazione era facilmente rintracciabile il successo della leggerezza de-problematizzante della società dei consumi di massa e dei suoi modelli edonistici: una mutazione antropologica appunto.

Tuttavia, a questa nota tesi del tutto condivisibile, qualcosa ancora manca.

In effetti sia l’universo comportamentale, sia l’insieme degli stili di vita proposti da quella che viene definita come “società dei consumi”, non costituiscono affatto, in quanto tali, una cultura.

Se con questo termine si intende un’interpretazione coerente della vita umana e del suo significato nel mondo alla luce della quale il soggetto finisce per orientare la propria esistenza, la società dei consumi non solo è ben lontana dal raggiungere un simile livello, ma si limita semplicemente ad occupare il proscenio dei comportamenti e dei modelli di vita.

Una tale postura è prodotta dall’implicita convinzione che l’universo acquisitivo dei consumi secondari e dell’industria dell’intrattenimento bastino a loro stessi, e che qualsiasi interpretazione del mondo e della vita sia di fatto superflua, fino a costituire una mera divagazione intellettuale.

La de-problematizzazione dell’esistenza attuata dalla società dei consumi e dell’intrattenimento televisivo pone le basi per il superamento di qualsiasi cultura, vana e inutile al tempo stesso, qualunque possano esserne le radici. La società dei consumi non produce nessuna nuova cultura, ma si limita semplicemente a depotenziare la ragion d’essere di qualunque cultura possibile, rendendola semplicemente inutile.

Ma proprio per questo una tale tendenza dei modelli di comportamento e degli stili di vita non è minimamente all’altezza di inficiare la dimensione religiosa, né di contrastarla. Anche se ne compromette gli interrogativi generali sul senso dell’esistenza a partire dai quali questa si è edificata, la società dei consumi non è sufficiente a porli ai margini, né ancor meno è capace di negarli.

(1 – continua)

 

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Tags: Pier Paolo Pasolini

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