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Home » Milano » INCHIESTA MILANO/ Sapelli: è il frutto avvelenato di Clinton, Blair e D’Alema, ci vorrebbe (ancora) Tognoli

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INCHIESTA MILANO/ Sapelli: è il frutto avvelenato di Clinton, Blair e D’Alema, ci vorrebbe (ancora) Tognoli

Giulio Sapelli
Pubblicato 26 Luglio 2025
Il Consiglio comunale di Milano (Ansa)

Il Consiglio comunale di Milano (Ansa)

Il caso Milano va compreso andando oltre cortine fumogene e appelli forcaioli e ricordando alcuni eventi del passato

Le uniche voci ragionanti che si sono udite sul cosiddetto caso Milano sono state recentissimamente quelle di Maximiliano Fuksas, Mauro Montalbetti, Paolo Manfredi e – più nicodemista – Jacopo Tondelli.

Basterebbe, poi, leggersi i testi elaborati dalle riviste della Camera di Commercio di Milano editate nei fulgidi tempi del principe Piero Bassetti e diretti da chi scrive e da Mauro Magatti – sotto l’attenta regia di quel genio editoriale che era ed è Pasquale Alferi – per avere una visione esatta della questione e non essere vittime della cortina di fumo creata dalla subalternità e dall’ignoranza pazzesca oggi dominanti, che rendono la verità invisibile.


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Ma chi legge più “qualcosa” oltre 5 minuti – cinque – di lettura? E poi sono passati secoli ossia una manciata d’anni, ma – come ci insegna Adriano Prosperi – oggi si vive in un eterno presente senza né storia, né storiografia.

Perché di questo si tratta. Tutto risale alle scelte che già Saskia Sassen (una sociologa di grandissimo interesse) aveva magnificamente descritto nei suoi tanto ignorati lavori. Ignorati sia dai cantori della realtà così com’è, sia dai forcaioli che invocano le manette trasformando un tema sociale idoneo per analizzare l’intreccio tra rendita finanziaria e sregolazione liberistica in un tema tipico invece dello sgretolarsi continuo delle classi politiche da partiti a caucus di cacicchi.


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È questo che è accaduto con la liberalizzazione dispiegata del mondo realizzata dopo la caduta dell’Urss dall’Internazionale socialista e dal Partito democratico Usa (da noi tutte le tragedie divengono farse, come il Britannia e le lenzuolate Bersani-Letta). Questo è il fenomeno da tenere a mente per capire “il caso Milano”. Si tratta del fenomeno più rilevante per comprendere la crisi mondiale della rappresentanza parlamentare nelle poliarchie capitalistiche.

Il diritto che produce la legge diviene l’arma usata dalla magistratura come ceto che da solo si oppone a questa trasformazione, perché vede in essa l’avvento di una società di solo scambio di mercato senza più neppure le regole del diritto civile e financo del diritto comune e quindi la sua fine storica di ceto obsoleto: vedi la cosiddetta scia che riduce la legge a regolamento (non vi ricorda qualcosa, tipo l’Ue con i suoi regolamenti che sostituiscono leggi e Costituzione europea?).


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Di qui il ruolo assunto dalla magistratura come derivata superflua di un mondo non più ordinato secondo i principi costituzionali, ma solo dai rapporti di potenza tra classi agiate l’una contro l’altra contrapposte: quelle che vivono dei proventi della nuova rendita fondiaria e finanziaria, di cui Milano è l’archetipo sregolato, e quelle che invece proliferano nella creazione e regolazione dei caucus dei nuovi cacicchi che hanno sostituito gli obsoleti partiti e si candidano a rappresentare il popolo degli abissi.

Popolo espulso dalle città, espulso dal lavoro a tempo indeterminato, espulso dal buon salario contrattato. Le cosiddette opposizioni al manager Sala non hanno né conoscenza, né scienza e per questo l’unica cosa che sanno fare è seguire il mito di Robespierre e sognare di riempire le patrie galere come unico rimedio ai mali strutturali che affliggono le classi lavoratrici e il ceto medio lavoratore dagli impiegati agli artigiani, ai piccoli imprenditori.

Nei miei lavori avevo posto l’accento sul fatto che il tutto si teneva attorno al concetto e alla prassi della rendita fondiaria che andava alle stelle nel mondo da circa un trentennio grazie all’ordoliberismo, imponendo il mercato dispiegato sorretto dalla trasformazione in ente di mercato per via legale di ogni ente pubblico economico (comuni, imprese municipalizzate cooperative che venivano quotate in borsa), precipitando nella finanza tutto ciò che prima dell’avvento dei Clinton, dei Blair e dei D’Alema era governato da quel miracolo socio-istituzionale che regalò al mondo gli anni più felici del secondo dopoguerra: l’economia mista.

Dopo l’avvento dei suddetti cavalieri dell’Apocalisse si produsse lo sbilanciamento social-istituzionale per cui anche il Comune da ente pubblico diveniva impresa coi suoi city manager a tempo pagati come manager che sostituivano i segretari comunali figli dell’hegeliana burocrazia che difendeva l’interesse del Comune ente pubblico anziché il mercato: forma di transazione di enti e soggetti tutti ridotte a merci, come dimostrano a Milano gli oneri di urbanizzazione che sono un terzo di quelli di Berlino, dove almeno si ha ancora un po’ di vergogna.

Non a caso gli oneri di urbanizzazione scomparivano quasi del tutto e le regole della pianificazione urbanistica seguivano ormai le lenzuolate liberiste Bersani-Letta, che hanno distrutto e distruggono le economie di prossimità e consegnano alla ‘ndrangheta gran parte del commercio generato dalle folle di ricchi godenti e di poveri abbacinati degli expo, degli eventi e infine di ciò che rimane dei centri storici, da cui sono stati espulsi i cittadini non abbienti (modello che la Bologna post-comunista inaugurò prima di tutti), sostituiti con i loro figli venditori di spazi di residenza turistica ad alta evasione fiscale e crescente pericolosità terroristica.

Il tutto mentre la pianificazione urbanistica viene sostituita dalla contrattazione affaristica da comitato di esperti che non hanno bisogno di essere alimentati di tangenti perché sono il potere che autoamministra se stesso nell’assenza di qualsivoglia principio regolatore che non sia lo scambio di mercato.

Consiglio a tutti la lettura del capolavoro La municipalizzazione dei pubblici servigi del grande Giovanni Montemartini, un libro meraviglioso che non si trova più: gli immobiliaristi e i finanzieri l’hanno bruciato come si faceva in tempi bui.

Nei centri storici – del resto – non vive più nessuno come un tempo si viveva nella polis. Vi si trovano solo acquirenti e venditori di spazi di turismo mordi e fuggi: Milano si qualifica per offrire occasione di accumulazione di merci rivendibili in patria per le borghesie anglosferiche, sudamericane e delle petromonarchie.

Tutto finisce nello sbadiglio del bottegaio e nel ghigno trumpiano, che certo troverà una soluzione sempre peggiore dell’esistente.

Bravo Sala: le mani sono pulite come quelle di tutta la giunta. Ma sono di una pulizia diversa da quella del buon indimenticabile Carlo Tognoli, che non si meritava tutto questo.

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Tags: Giuseppe Sala

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