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Home » Educazione » Maturità » SCUOLA/ Esame o selfie? Una riforma da fare subito

  • Maturità
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SCUOLA/ Esame o selfie? Una riforma da fare subito

Vincenzo Rizzo
Pubblicato 31 Luglio 2025
Orale, Maturità 2025

Colloquio orale dell'esame di Maturità (Foto: ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)

A chiusura del dibattito sul rifiuto degli studenti a misurarsi con l’orale di maturità, un invito a considerare alcuni elementi che andrebbero cambiati

Sul rifiuto di alcuni studenti a sostenere l’orale di maturità, tanto, forse troppo si è scritto. Forse proprio per questo andrebbero fatte alcune precisazioni tecniche.

Nel tempo l’esame di maturità è diventato sempre più facile. Alcuni anni fa è stata eliminata la terza prova scritta, volta a verificare la conoscenza delle materie d’esame. La prima prova, ormai da anni, viene accompagnata da numerosi testi che prendono per mano lo studente e lo accompagnano nella stesura del suo lavoro.


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È stato inserito dal legislatore, alcuni anni or sono, anche uno spunto scelto dalla commissione da cui poter partire per il colloquio orale. Il candidato ha pertanto la possibilità di costruire liberamente un percorso interdisciplinare per mettere in luce le conoscenze acquisite.

È stato introdotto, inoltre, un meccanismo di punti (crediti e prove scritte) con maglie molto larghe per favorire gli studenti in difficoltà. Era perciò ampiamente prevedibile che prima o poi qualche studente, avendo raggiunto i 60 punti richiesti per il superamento dell’esame, avrebbe fatto uso della vulnerabilità del criterio di misurazione.


SCUOLA/ “Oltre la riforma dell’esame di maturità, ce n’è una dei docenti ancora da fare”


Non solo. Il ministero fornisce ogni anno a tutte le commissioni una griglia unica per l’esame orale. Cosa vuol dire? Che anche la prova orale viene aiutata, perché il punteggio è cumulativo. Non c’è, insomma, un punteggio specifico per ogni singola materia. Dietro un risultato più che sufficiente o discreto, dunque, si possono celare insufficienze non rilevate, perché non registrabili.

Peraltro, capita spesso che i presidenti di commissione nella compilazione della griglia e nell’attribuzione del voto cerchino di non discostarsi troppo dalla media globale dello studente. Insomma, le tutele per gli studenti sono davvero tante.


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Che cos’è successo invece nel dibattito sul tema? Alcuni giornalisti hanno addirittura parlato di obiezione di coscienza da parte degli studenti. In tutta franchezza, però, qui non si riesce a vedere né l’obiezione né tantomeno la coscienza.

L’obiezione, infatti, implica un rischio che però i candidati non hanno assunto, perché hanno intascato il 60. E richiede un’alternativa (es.: al servizio militare, quello civile) che non si è vista. Non hanno esposto, infatti, una ricerca personale alternativa al colloquio, o qualcosa di simile.

Per quanto riguarda la coscienza del gesto fatto, basti pensare allo sconcerto dei commissari interni che si sono trovati a gestire una situazione molto difficile, o ai compagni di classe che hanno trovato un clima inevitabilmente meno sereno. Proviamo a immedesimarci in chi fa parte di un gruppo e si trova a fronteggiare una situazione imprevista e sfavorevole.

Naturalmente non si è parlato solo di obiezione di coscienza, ma anche di mancato ascolto degli studenti. Anche qui si dimentica l’effetto-sorpresa prodotto con una sorta di “selfie” – perché di questo si è trattato – subito mediatizzato. La scelta di non sostenere l’esame, infatti, non è stata un’azione collettiva o di massa frutto del disagio generalizzato, ma un’azione soggettivistica, figlia del mondo di Instagram. Un fotogramma impressiona per un attimo, poi finisce, per la sua intrinseca inconsistenza. Cosa ascoltare dunque: una fugace apparenza autoreferenziale?

Allora, di fronte a questa nuova situazione che cosa fare? Bisogna passare dall’esame di Stato a quello di maturità, certo. Ma non si può assolutamente rinunciare alla conoscenza: le domande specifiche durante l’esame vanno fatte. Si tratta di una questione educativa seria. Chi ieri si è rifiutato, infatti, di fare il colloquio dell’esame di Stato, quando domani si cimenterà con l’esame orale di diritto civile, o sociologia, o biologia, o fisica, dovrà sapere, punto. A questo scopo va ben preparato dai docenti della secondaria, e aiutato a sostenere esami, non incentivato a ripiegarsi su sé stesso.

I dati, a tal proposito, non sono buoni. Tanti studenti del primo anno in università non danno neanche un esame: non hanno fatto la scelta appropriata, non sono stati abituati allo stress mentale, non sono stati preparati allo studio effettivo.

Ad ogni modo, va certamente rivisto il criterio sconsiderato del punteggio che tra crediti e prove scritte può portare direttamente al 60. Poi, al posto dello spunto iniziale, si può inserire la valorizzazione di un percorso di studio personale, proposto dallo studente, da cui emerga la maturazione effettiva di pensiero critico e l’acquisizione di character skills.

Nell’ottica dell’esame di maturità bisognerebbe poi introdurre, ad avviso di chi scrive, al posto dell’attuale educazione civica-patchwork, la via alla cittadinanza attiva. La generazione dei social deve passare dal divano e dalla comfort zone a esperienze guidate di solidarietà concreta (Libera, Emergency, Colletta alimentare, volontariato ambientale, protezione civile).

Si tratta di passare, finalmente, dal mondo virtuale a quello reale: dal guscio alla società. Obblighi necessari per tutti, dunque, e quantificabili con un numero ragionevole di ore (10-20). Le esperienze di vita fatte potranno essere accolte e discusse durante l’esame.

Dulcis in fundo: le domande di conoscenza sono irrinunciabili e vanno fatte dalla commissione con una valutazione serena ed effettiva. Oltre al diploma con il fatidico 60, va consegnata anche una certificazione con i livelli raggiunti nelle singole materie. Potrà capitare, perciò, di vedere un diploma con 60 in cui si evidenzia, nella documentazione a parte, la criticità in matematica rimasta, ma aiutata nel giudizio finale. Un esame è un esame, insomma: maturità, ma anche conoscenza.

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