Secondo uno studio inglese diffuso nel mese scorso, il caldo tra giugno e luglio avrebbe aumentato il numero di decessi. Falso, ecco perché
Che temperatura c’è? Quante volte in questo periodo dell’anno ci siamo posti la domanda e ci siamo sentiti dire (e chissà quante volte noi stessi l’abbiamo detto) “si muore di caldo!”. È una tipica, ed ai tempi inconsapevole, esplicitazione del disagio che le alte temperature della stagione estiva provocano nei soggetti che, come chi scrive, non gradiscono il caldo (soprattutto quando è eccessivo).
Perché ho detto che l’espressione ai tempi era inconsapevolmente citata? Quando ero giovane, appena dopo la metà del secolo scorso, l’espressione era già in uso ma tutti pensavano che fosse l’inverno (o il freddo) ad aumentare la mortalità e nessuno sosteneva che si potesse morire per il caldo.
Da qualche tempo però la scienza ci sta dicendo che non occorre andare nel deserto per morire di caldo, perché c’è un aumento della mortalità anche nei nostri Paesi a seguito del succedersi di particolari aumenti di temperatura chiamati “ondate di calore”. Quindi l’espressione “si muore di caldo” non è più solo un modo di dire ma diventa anche il racconto di esperienze concrete che si possono constatare.
Certo, ci vuole qualche strumento di misura adeguato, ma per questo ci si può sempre attrezzare facendosi anche aiutare dalle persone giuste, ed in proposito merita di essere raccontato un fatterello che è successo nella prima quindicina del mese di luglio di quest’anno.
In quei giorni (mi si perdoni l’inizio biblico) gli strumenti di informazione si sono riempiti di titoloni che avvertivano il popolo dei lettori e degli ascoltatori che le alte temperature della fine del mese di giugno avevano triplicato il numero dei decessi: 1.500 morti in più, attribuibili al cambiamento climatico causato dalle attività antropogeniche, in dodici città europee, con quasi 500 decessi in più tra Roma e Milano (e 6 in più a Sassari).
A fornire questa informazione è stata la pubblicazione di un rapporto preparato dall’Imperial Grantham Institute di Londra (Climate change tripled heat-related deaths in early summer european heatwave) che oltre alle tre città italiane ha valutato l’eccesso di mortalità anche a Barcellona (+286), Parigi (+235), Londra (+171), Madrid (+108), Atene (+96), Budapest (+47), Zagabria (+31), Francoforte (+21) e Lisbona (+21).
Immediata l’alzata di bandiere e scudi da una parte dei sostenitori del ruolo negativo del cambiamento climatico (“Il cambiamento climatico uccide”, dichiara Garyfallos Konstantinoudis del Grantham Institute) e dall’altra dei suoi detrattori (“Non fatevi terrorizzare dalla narrazione allarmista sui morti per il caldo”, Bjørn Lomborg su Tempi del 16 luglio 2025), con i diversi media schierati vuoi con una parte e vuoi con l’altra.
E da che parte sta la realtà? Ne ha già parlato Il Sussidiario in un pezzo di del 20 luglio 2025 (Morti per caldo, niente picco con afa: studio smonta bufala 500 decessi/“Impatto alte temperature contenuto”) che qui si riprende arricchendolo di particolari riferiti alla situazione italiana.
Nel nostro Paese è attivo da anni un “Sistema nazionale di sorveglianza della mortalità giornaliera” (SISMG) attivato proprio per poter valutare episodi come quelli messi sotto la lente di ingrandimento dal Grantham Institute.
Ce ne dà conto un contributo di Paola Michelozzi e coll. da poco apparso su Epidemiologia & Prevenzione (Mortalità estiva: valutazione degli effetti dell’ondata di calore di giugno 2025) nel quale, numeri SISMG alla mano, si dimostra che l’andamento giornaliero della mortalità nel periodo indagato ha presentato solo lievi scostamenti rispetto ai valori attesi, come si vede, ad esempio, dalla figura che segue riferita alla città di Milano.
Figura. Andamento giornaliero del numero di decessi osservati e attesi e della temperatura apparente massima nel periodo 1° maggio-5 luglio 2025 a Milano. In nero l’andamento della mortalità giornaliera osservata (linea continua) e attesa (linea tratteggiata); in rosso l’andamento della temperatura apparente massima (linea rossa continua) e suo valore medio di riferimento del periodo (linea tratteggiata), le bande in arancione indicano i giorni dell’ondata di calore (livello 2,3 del sistema di allerta HHWW). Fonte: Epidemiologia & Prevenzione

Dal punto di vista numerico nel periodo 25 giugno-4 luglio (l’ondata di calore recente) a Milano si sono osservati 257 decessi e ne erano attesi 248 (tralasciamo i dettagli del calcolo): solo 9 decessi in più. Lo stesso conto riferito a Roma (24 giugno-6 luglio) dice che i decessi osservati sono stati 614 e sono 9 in più rispetto ai 605 che erano attesi.
Si tratta, come si vede, di scostamenti minimi, che non sono significativi, in entrambe le città e che raccontano di un impatto molto modesto di questa ondata di calore sulla mortalità generale, nonostante le temperature registrate siano risultate elevate.
Estendendo l’osservazione a tutte le 54 città che fanno parte del SISMG nel mese di giugno 2025 i decessi osservati sono risultati in linea con i decessi attesi sia al Nord che al Centro-Sud del nostro Paese.
Ma allora: chi ha ragione? chi ce la racconta giusta? Qui non si tratta di parteggiare ideologicamente per gli uni o per gli altri o di ingaggiare una battaglia scientifica tra ricercatori italiani ed inglesi, però un risultato così diverso dovrà pur avere una spiegazione.
Ed infatti la spiegazione c’è, ma la si deve andare a cercare tra le righe della metodologia adottata, operazione che richiede un livello di competenza specifica che non è certamente tipico degli usuali lettori dei giornali.
L’inghippo, per dirla in parole semplici, è che lo studio inglese non ha contato veramente i decessi che si sono verificati nel periodo esaminato per poi confrontarli con i decessi attesi, come invece ha fatto il SISMG, ma si è affidato solamente a modelli di previsione costruiti su dati che arrivavano fino al 2019. Ha preso i modelli previsionali ritenuti più affidabili, modelli che descrivono la relazione tra temperatura e decessi (tenendo conto di fattori demografici, ambientali, socioeconomici, …), ha inserito i valori di temperatura osservati nelle diverse città alla fine di giugno e ne ha dedotto i decessi che sarebbero previsti da questi modelli: un classico esercizio di previsione, dove la validità del risultato (cioè la corrispondenza tra decessi previsti e decessi che saranno realmente osservati) dipende esclusivamente dalla bontà dei modelli utilizzati.
Facile concludere, in questo caso, che la previsione non ha funzionato e che i modelli utilizzati sono risultati solo una rappresentazione molto “spannometrica” (per non dire del tutto errata) della realtà sostituendo ad essa una realtà virtuale (o una realtà di comodo).
E le trombe che si erano alzate squillanti a suonare il de profundis di questo mondo che starebbe andando verso il suo dissolvimento sotto il distruttivo incalzare del cambiamento climatico causato dall’insipienza dell’umana natura, di fronte alla bufala dei 1.500 decessi in più per il caldo hanno forse suonato la ritirata o si sono battute il petto dicendo “mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa”? Certo che no, hanno solo messo la sordina alle trombe in attesa di tornare alla carica su una prossima bufala.
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