Con l'incertezza predominante sui dazi, per rilanciare l'industria italiana occorre puntare sulla domanda interna ed europea
A giugno la produzione industriale italiana è salita dello 0,2% rispetto a maggio, mentre ha fatto registrare un calo dello 0,9% su base annua. Nel secondo trimestre l’indice è andato leggermente meglio rispetto al primo (+0,1%).
Secondo Luigi Campiglio, questi dati «lasciano intravvedere una sorta di stabilizzazione, un rafforzamento di un plateau di base che consente di sperare in una risalita. Una speranza che dipende essenzialmente da due fattori».
Quali?
Il primo è la domanda interna, che a sua volta dipende dal potere d’acquisto delle famiglie. Il secondo è l’export, su cui pesa quella che è ormai diventata una stabile incertezza relativa ai dazi Usa. Bisogna augurarsi che non diventi strutturale.
Una tariffa del 15% non sembra poi così male per le merci europee…
A parte il fatto che occorre considerare anche il cambio euro/dollaro, mi sembra che il vero problema è che si sta consolidando una politica del disordine, essenzialmente pericolosa in quanto non consente nemmeno di fare delle congetture. Oggi nessuno sembra aver gli elementi per poter scommettere sul livello dei dazi che ci saranno tra un mese: saranno ancora del 15% oppure saranno a un livello più alto? È chiaro che questo non aiuta gli operatori economici.

Il nostro export, però, è anche rivolto all’Ue, non solo agli Usa.
In effetti, quello che si può fare è puntare sulla domanda interna/europea, che è l’unica per la quale abbiamo informazioni di prima mano e certe. L’industria italiana resta promettente e in questa fase sarebbero importanti gli investimenti, sia privati che pubblici, che possano aiutarla a cogliere i benefici di una successiva normalizzazione del contesto. Altrettanto importante sarebbe un quadro in cui il potere d’acquisto delle famiglie quanto meno non diminuisca.
Perché, come ha anche accennato all’inizio, il potere d’acquisto è così importante per una ripresa della produzione industriale?
Perché è cruciale per la domanda interna e a volte è possibile che anche un solo dato positivo, per quanto piccolo, abbia degli effetti interni moltiplicativi con ricadute diffuse. Alla fine, complessivamente, si avrebbe un movimento di crescita che coinvolgerebbe anche l’industria.
Perché aumenti l’export intracomunitario occorre che la domanda interna cresca anche negli altri Paesi Ue. Non servirebbe una politica europea finalizzata a questo scopo?
Sì, questo è un elemento centrale. Abbiamo bisogno di un mercato ben oliato per ottenere risultati significativi. Se pensiamo solamente alle grandi nazioni europee – Germania, Francia, Italia, Spagna – abbiamo di fronte un bacino di consumatori che rende possibile potenzialmente consolidare un quadro che consenta di guardare a un futuro col segno più. Penso che occorrerebbe trovare il modo di attuare insieme, a livello europeo, politiche che abbiano un beneficio collettivo.
In questo senso la Germania, con il suo mega-piano di investimenti, non ha dato il buon esempio…
Se un Paese, soprattutto grande, agisce per conto suo, chiaramente si perde una parte del beneficio collettivo.
Bisognerebbe allora fare in modo che le stesse politiche di investimento che la Germania sta cercando di portare avanti fossero attuate da tutti i Paesi dell’Ue?
Esattamente. Sarebbe assurdo se l’Ue arrivasse a investire 600 miliardi di dollari negli Usa, come ha chiesto Trump, senza aver fatto almeno altrettanto, ma sarebbe ovviamente meglio di più, sul proprio territorio. E questo non può essere fatto da un solo Paese.
Andrebbero allora cambiate le regole fiscali europee contenute nel Patto di stabilità?
Sì. Spero che un lumicino si accenda nell’Ue e si comprenda che certamente non è semplice individuare azioni collettive, ma è facile imitare qualcosa che si vede funzionare vicino a sé. Sarebbe, quindi, importante, che fosse possibile per un Paese europeo poter attuare politiche simili a quelle che vede funzionare in altro membro dell’Ue. Mi auguro che l’aspetto delle regole non sia insormontabile: non si può non vedere il beneficio collettivo che si avrebbe. Un’altra cosa importante, se si vogliono incentivare gli investimenti privati, sarebbe riuscire a dar vita all’Europa dei capitali, che ancora non c’è.
(Lorenzo Torrisi)
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