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Home » Esteri » Europa » DALLA GERMANIA/ Stop alle armi (a Israele), il cambio di rotta che spiazza neocon e sensi di colpa

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DALLA GERMANIA/ Stop alle armi (a Israele), il cambio di rotta che spiazza neocon e sensi di colpa

Claudia Schneider
Pubblicato 11 Agosto 2025
Germania. Una seduta del Bundestag (Ansa)

Germania. Una seduta del Bundestag (Ansa)

Con una decisione politica senza precedenti, resa difficile dal passato antisemita, la Germania di Merz ha sospeso le forniture di armi a Israele

Per ragioni facilmente intuibili sul piano dei propri debiti storici, la Repubblica Federale Tedesca ha sempre avuto un rapporto di sostegno privilegiato verso lo Stato di Israele. La Germania è prigioniera dei propri fantasmi, oltre che delle numerose basi americane e dei trattati successivi alla Seconda guerra mondiale.


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Per decenni ha fornito armi avanzate, naviglio e mezzi economici allo Stato israeliano, senza mai realmente confrontarsi con la questione palestinese.

Ora qualcosa sta cambiando, proprio sull’onda delle notizie e delle immagini che arrivano da Gaza. Così, dopo mesi di cautela, la Repubblica Federale ha imboccato una strada più assertiva di fronte alla crisi umanitaria senza precedenti nella Striscia di Gaza.


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L’8 agosto il cancelliere Friedrich Merz (CDU) ha annunciato la sospensione di tutte le esportazioni militari che potrebbero essere impiegate nel conflitto, segnando una svolta storica nei rapporti con Israele. Una decisione che, oltre a irritare una parte della sua stessa maggioranza, ha aperto un nuovo fronte politico interno.

Merz, che fino a poche settimane fa si limitava a ribadire la “responsabilità storica” della Germania verso la sicurezza di Israele, ha alzato il tono: via libera a un ponte aereo con la Giordania per l’invio di aiuti umanitari, pressione su Tel Aviv per un cessate il fuoco immediato e per il rilascio degli ostaggi, oltre alla richiesta di aprire corridoi terrestri per far entrare cibo e medicinali. “Non basta lanciare pacchi dal cielo – ha dichiarato – serve un accesso sicuro via terra”.


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La svolta non è stata indolore. Nella CDU/CSU, partito del cancelliere, alcuni deputati hanno definito il provvedimento “un errore strategico” e hanno convocato d’urgenza una riunione della commissione Esteri. Per parte sua, la SPD, soprattutto nella sua ala sinistra, ha rivendicato la mossa come una vittoria, ricordando che già a luglio il capogruppo Rolf Mützenich aveva chiesto lo stop delle forniture militari “per esercitare una reale pressione politica su Israele”.

Merz, cancelliere Germania
Friedrich Merz (Ansa)

La Germania continua a ribadire il proprio impegno per la sicurezza di Israele, ma la scelta del governo Merz segna comunque un cambio, almeno parziale, di paradigma: per la prima volta, Berlino usa le proprie forniture militari come leva politica in una crisi che sta facendo vacillare i suoi stessi equilibri diplomatici.

Molto peculiare risulta la posizione di Alternative für Deutschland, principale partito di opposizione. L’AfD respinge categoricamente l’idea di accogliere rifugiati palestinesi in Germania.

Il partito chiede che siano i Paesi arabi vicini a farsi carico dei rifugiati, promuovendo invece aiuti umanitari locali e soluzioni “vicine alla loro patria” per facilitare il ritorno e l’integrazione.

Durante i dibattiti parlamentari, esponenti dell’AfD come Alice Weidel e Beatrix von Storch hanno difeso le operazioni militari israeliane come legittima autodifesa contro Hamas. Le critiche a Israele vengono spesso bollate dal partito come moralmente discutibili o addirittura antisemite.

Con ciò, l’AfD ribadisce la propria posizione prossima a quella dei teocon/neocon americani e, in proposito, non sono mancate – da parte tanto della SPD che dei Linke – le accuse al partito di opportunismo politico.

Va notato, peraltro, che questa linea è molto forte anche all’interno dell’Unione CDU-CSU, principale partito di governo, e, al di là delle dichiarazioni politiche, è sottilmente condivisa dallo stesso cancelliere. Esemplare è la questione terminologica, con evidenti differenze rispetto al contesto italiano.

Il governo tedesco, attraverso il ministero degli Esteri, ha ribadito la propria netta contrarietà all’uso del termine genocidio in riferimento alle operazioni israeliane a Gaza. L’esecutivo sostiene che manchi la prova di un’intenzione esplicita di distruggere il popolo palestinese “in quanto tale”, elemento essenziale per una qualificazione giuridica di genocidio. Una posizione simile era già stata espressa dal governo Scholz, per bocca dell’allora vicecancelliere Robert Habeck, esponente dei verdi.

Anche Felix Klein, commissario federale per l’antisemitismo, ritiene problematico l’uso di questo termine nel contesto di Gaza. Secondo lui, tali dichiarazioni rischiano di essere antisemite, poiché strumentalizzano e “demonizzano” Israele.

È chiaro, quindi, che la svolta diplomatica della Repubblica Federale Tedesca si muove secondo i principi della massima prudenza ed è principalmente l’esito delle fortissimi pressioni che stanno arrivando dalla società civile.

Difatti, sul fronte extrapolitico, tredici organizzazioni umanitarie, tra cui Oxfam, Save the Children e Medici Senza Frontiere, hanno chiesto un vertice di crisi alla cancelleria e accusato Berlino di agire con lentezza.

Le ONG denunciano che i lanci aerei sono “inefficaci” e che solo il passaggio di convogli via terra può arginare la morte per fame che minaccia due milioni di civili.

Anche il mondo della cultura si è mobilitato: oltre 200 personalità – scrittori, registi, musicisti – hanno firmato una lettera aperta chiedendo lo stop immediato di ogni fornitura di armi a Israele, la sospensione dell’accordo di associazione UE-Israele e l’accesso illimitato degli aiuti.

Al dibattito politico si aggiunge la posizione delle chiese. La Evangelische Kirche in Deutschland (EKD) e la Conferenza Episcopale Tedesca hanno assunto posizioni chiare sulla crisi in corso a Gaza, unendo dichiarazioni pubbliche e interventi concreti di aiuto.

Secondo Dagmar Pruin, presidente della evangelica Diakonie Katastrophenhilfe, la popolazione vive “una catastrofe di proporzioni inimmaginabili”, con fame diffusa e aiuti insufficienti, il che rende urgente un forte intervento politico-diplomatico sul governo israeliano. Sulla stessa linea si pone anche la Conferenza Episcopale Tedesca. La Caritas Internationalis critica le restrizioni ai convogli di aiuto, chiedendo corridoi umanitari sicuri e continui.

Le Chiese condannano gli attacchi contro civili e luoghi di culto, come quello alla parrocchia cattolica della Sacra Famiglia a Gaza City, che ha causato vittime tra rifugiati e fedeli e chiedono con insistenza al Governo federale di compiere dei significativi passi diplomatici.

Pur con tutta la prudenza, la diplomazia e gli imbarazzi derivanti dalle pesanti eredità della storia tedesca, viene spontaneo operare un confronto tra l’attuale presa di posizione del governo Merz e le camaleontiche contorsioni del governo italiano. Viste dalla Germania tali infatti appaiono le giravolte, anche linguistiche, della premier Meloni e del ministro degli esteri Tajani.

Molto timidamente e senza mettere in alcun modo in discussione il debito storico verso Israele, in Germania si va delineando un nuovo corso ispirato a principi minimi e universali di solidarietà umana, cosa che, quanto meno, dimostra che le pressioni della società civile servono, eccome. Di sicuro, rispetto a quel terribile “Israele fa il lavoro sporco per noi” (Merz, 17 giugno 2025) qualche passo avanti il governo tedesco è stato costretto a farlo.

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Tags: Friedrich MerzGiorgia MeloniOlaf ScholzGoverno MeloniAntonio Tajani

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