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Home » Politica » UE, ITALIA, UCRAINA/ Cosa succede quando si regala ai giudici la “sovranità europea”

  • Politica
  • Europa

UE, ITALIA, UCRAINA/ Cosa succede quando si regala ai giudici la “sovranità europea”

Int. Mario Esposito
Pubblicato 16 Agosto 2025 - Aggiornato 22 Agosto 2025 ore 15:20
von der Leyen, Kallas

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE, e Kaja Kallas, Alto rappresentante agli Esteri Ue (Ansa)

L'UE ha perso la partita negoziale e politica della difesa dell'Ucraina. Irrilevanza estera ed egemonie interne, questo è l'Europa oggi

C’entra qualcosa l’irrilevanza politica dell’Unione Europea, la sua impotenza negoziale dai dazi alla guerra in Ucraina, con i “volenterosi” e l’ultima sentenza della Corte di giustizia UE?

Chissà cos’ha pensato la presidente del Consiglio quando ha letto il recente editoriale di Antonio Polito sul Corriere della Sera. Vi si parla della “conversione” europea della Meloni, del raggiunto “allineamento internazionale” da parte della “ex campionessa della destra sovranista”, della sua “omologazione in senso europeista”. Insomma, la constatazione compiaciuta di una metamorfosi politica.


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Da ieri sera, dopo il vertice Trump-Putin ad Anchorage, tutti i discorsi sulla “sovranità europea” potrebbero apparire scaduti. Chi parla di “sovranità europea”, come chi vi si affida credendo di “contare” di più, sbaglia, spiega Mario Esposito, ordinario di diritto costituzionale a Unipegaso e docente alla Luiss di Roma. “Non esiste ad oggi una struttura diversa da quella statale alla quale imputare poteri sovrani”, spiega il giurista.


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E non è nemmeno possibile crearla mediante “trasferimenti” ulteriori di sovranità, come si è creduto in passato e come qualcuno vorrebbe fare ancora oggi, in un processo di dissoluzione dell’unica sovranità politica che conta.

Professore, l’allineamento della Meloni all’Ue è nei fatti. O no?

L’articolo di Polito riflette molto bene ciò che rappresenta l’Unione Europea oggi: oltre a un’architettura istituzionale da investigare sotto il profilo tecnico, una sorta di autorità post-laica e post-religiosa, che attraverso la catechesi dei suoi “sacerdoti” postula professioni di fede politica. Insomma, lascerei da parte la “conversione”.


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E per quanto riguarda l’avvenuta omologazione?

A me pare che il presidente del Consiglio stia facendo, nella misura del possibile, una politica realistica. E la realtà è che ad oggi ci si deve muovere all’interno di una struttura che dissimula le sue decisioni politiche e allo stesso tempo consente prevalenze egemoniche ad assetto variabile: quelle costituite da alleanze interne determinate da obiettivi contingenti. L’ultima, in ordine di tempo, è quella dei cosiddetti “volenterosi”.

Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore ha scritto che il tentativo dell’Ue di condizionare il vertice di Anchorage, da ultimo con il vertice di emergenza convocato da Merz, sancisce di fatto la “resurrezione” della Germania. È vero?

È così. Si fa anche osservare, giustamente, che questo avviene dopo l’abbattimento del rigore di bilancio e la riforma ad hoc del Patto di stabilità europeo. È ciò che la Germania ha puntualmente fatto: utilizzare l’Unione Europea come suo strumento a supporto dei suoi scopi di riunificazione o per salvaguardare, come è avvenuto a Maastricht, il suo primato economico. Basta ricordare come si è arrivati all’euro.

E oggi?

Oggi Berlino ha cambiato postura. All’interno dell’Ue si giova di un assetto di regole che, se fatte rispettare, paralizzano le politiche statuali altrui, mentre la stessa Germania persegue le sue politiche grazie alla violazione di quelle medesime regole, che spesso, peraltro, per la loro stessa formulazione, per il rango, mai davvero eguale nei singoli Stati membri, non sono osservabili o consentono ampi margini di apprezzamento. Margini che a loro volta le istituzioni europee calibrano con diverso rigore in rapporto ai diversi Paesi.

Perché la violazione delle regole non è illegale?

Dipende dalle risposte delle Corti costituzionali e degli apparati giurisdizionali dei singoli Stati membri. È esemplare il caso del Tribunale costituzionale tedesco che, giovandosi delle norme del Grundgesetz (la Costituzione tedesca, ndr) che sottopongono l’adesione della Germania al processo di integrazione a specifiche condizioni di legittimità costituzionale, consentono di limitare e comunque modulare la penetrazione delle fonti europee. Basta seguire nel tempo la giurisprudenza della Corte federale per rendersene conto.

E cosa si vede?

In un primo tempo traspare un evidente “innamoramento” per la sovranazionalità. Poi, dopo la crisi del debiti sovrani e l’ingresso sulla scena dei “meccanismi” di aiuto agli Stati, il varo del “pilota automatico” e via dicendo – memorabile la Corte costituzionale federale che pretendeva di convocare a rapporto la BCE sugli OMT (Outright Monetary Transactions, ndr) – il copione è cambiato.

In che modo?

Messa da parte la sovranazionalità dell’Ue, si è tornati al diritto internazionale, sulla base del principio che gli Stati sono i “signori” dei trattati europei. Dunque sono gli Stati ad essere preminenti sull’integrazione e sui trattati, che si impongono fino a che i governi non valutano diversamente.

Dunque siamo in presenza di un bagaglio di contraddizioni che aumentano anziché diminuire. E tuttavia la forza vincolante, “omologante” dell’UE su Stati come l’Italia, è intatta. Perché?

L’integrazione europea è nata nel segno della neutralizzazione di quei poteri degli Stati che oggi sono chiamati in causa: difesa, tutela della sicurezza, tutela dell’economia nazionale, tutela dei confini in tutti i sensi: fisici, commerciali, monetari. Il confine, diceva Guarino, è un istituto giuridico fondamentale. L’UE, come configurata a Maastricht, si è proposta di neutralizzare quei “confini” sulla base del presupposto che essi fossero causa di squilibri e di collisioni, leva essenziale del vecchio ius belli degli Stati europei.

Risultato?

Una superorganizzazione complessa, piena di norme, vincoli, regole che tutto può fare tranne che incidere sulle questioni che oggi premono con maggiore forza. L’impotenza decisionale dell’UE sui maggiori dossier internazionali, i dazi e l’Ucraina, oltre che il frutto di scelte politicamente sbagliate, è il risultato di queste contraddizioni istituzionali.

Dunque la citata sovranazionalità…

Oggi se ne dimostra tutta l’inadeguatezza. Le collettività nazionali sono state spostate sotto una struttura di incerta definizione, che finisce per essere un guado nel quale l’UE – una pre-federazione, una para-federazione, una confederazione in itinere, rimasta indefinita e non definibile – continua a stare in mezzo.

Perché il trasferimento di sovranità, che ha stravolto la nostra Costituzione, non ha risolto i problemi?

Non ha risolto i problemi nostri e neppure quelli degli altri perché le nazioni continuano ad esserci. Parlare di “sovranità europea” è voler attribuire la sovranità a una struttura che non è fatta per esercitare la sovranità in senso tradizionale, che è un preciso concetto giuridico ben distinto dai poteri e dalle prevalenze fattuali. Non esiste ad oggi una struttura diversa da quella statale alla quale imputare poteri sovrani.

Ma è la von der Leyen a negoziare per tutti. Su mandato dei trattati.

Ma i trattati sono l’esito dell’operazione di “neutralizzazione” di cui si diceva. L’assunzione di funzioni sovrane da parte delle istituzioni europee ha disperso il potere che era degli Stati, rendendolo non controllabile e gravemente deficitario nella sua legittimazione, oltre che oscuro.

Oscuro, ha detto?

Sì. La preponderanza delle sentenze della Corte di giustizia UE è una diretta conseguenza della dispersione della sovranità statale che avviene al livello europeo. La giurisprudenza della Corte ha di fatto obbligato gli Stati all’osservanza delle regole che essa stessa ha via via stabilito, giudicando sulla base di norme e principi frutto di una sorta di evocazione dello spirito più che della lettera dei trattati europei, utilizzati in funzione di depositi “sapienziali”, riversandone gli effetti sull’interpretazione e l’applicazione del diritto unionale derivato e delle fonti giuridiche nazionali.

La Corte di giustizia è nell’alveo delle sue competenze?

No, si è spinta ben oltre, finendo anche di recente per dettare ai giudici degli Stati membri le sentenze da emettere. Uno scenario ben diverso dall’integrazione e dall’unione dei popoli europei.

Questo di fatto che cosa comporta?

Ne deriva un assetto di potere che non è conforme al principio democratico. Parallelamente, la sapienza dei “tecnici” – i giudici – ha assunto uno status vincolante di stampo sacerdotale. Insomma un ritorno dallo ius al fas di romana memoria. L’oscurità sta nel fatto che tutto questo è una negazione della prima grande conquista del costituzionalismo, che è la visibilità del potere, secondo la felice intuizione di McIlwain, che Habermas ha spiegato benissimo.

Vale a dire?

Lo Stato è un bene non perché ha in sé una qualità mistica, ma perché concentra il potere, che altrimenti, restando disperso nella società, sarebbe fuori controllo. Lo Stato lo rende visibile e controllabile democraticamente.

Ed è questo l’habitat ideale di quelle che ha chiamato “leghe egemoniche”?

Sì. L’UE è una infrastruttura di potere al servizio dell’egemonia dei “più eguali”. Cioè è un consorzio tra diseguali. E così si scopre che in Consiglio europeo i capi di Stato e di governo firmano documenti in cui si dice di volere conseguire in Ucraina “la pace attraverso la forza”.

La nostra Costituzione all’articolo 11 dice una cosa un po’ diversa.

Infatti ci si aspetterebbe che nei singoli Stati, a cominciare dal nostro, si levasse alta la voce di chi dice che noi siamo un Paese la cui Costituzione sancisce il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, salvo ovviamente il diritto di difesa. Nel frattempo, i negoziati di von der Leyen vengono smentiti o più abilmente doppiati da riserve o negoziati diretti dei singoli Stati. Ma ci sono contraddizioni ancora più gravi.

Ad esempio?

Se l’Unione Europea vuole la pace con la forza, e promette sanzioni alla Russia, è in guerra con la Russia? C’è mai stata una dichiarazione di guerra?

No, si direbbe quasi che è una guerra non dichiarata.

Ancor più grave. Ma non c’è da stupirsi: che potere ha, la signora von der Leyen, di impegnare gli Stati alla guerra? Il Regno Unito ringrazia: stando fuori dall’Europa, può manipolarne l’indirizzo politico grazie alla sua forza e alla sua proiezione internazionale.

Che ruolo svolge o svolgerebbe la riforma del principio dell’unanimità nel concerto dei “poteri” post-sovrani egemonici europei?

Mi limito qui a dire che dall’unanimità non si può prescindere fin quando non si raggiunga l’unificazione politica e giuridica di un futuro ente che possa effettivamente chiamarsi Unione Europea. Nell’ambito della quale, quando costituita, varrebbe il principio maggioritario.

(Federico Ferraù)

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