La situazione nella Striscia è sempre più grave dal punto di vista umanitario. Le parole del card. Zuppi siano un monito ad agire
Non è bastata la manifestazione a Tel Aviv dei veterani top gun e dei riservisti contro l’attacco finale a Gaza. È stata inutile la forte azione politica dei Mesarvot che sostengono i refusenikim (obiettori di coscienza). Neanche l’alto numero di suicidi tra i soldati dell’IDF ha smosso le coscienze dei governanti. Ieri, poi, l’imponente manifestazione di oltre 1 milione e mezzo di persone (500mila a Tel Aviv) che ha ribadito con forza l’insensatezza della guerra.
La saggezza dei patrioti, la non violenza dei forti, l’orrore di un trauma che divora e la massa oceanica contro il disastro, purtroppo, non hanno prevalso. Continuano, infatti, le operazioni militari a Gaza City, portate avanti dalla 99esima divisione di fanteria. Inoltre, è stato dato il via libera a oltre 3.400 nuovi insediamenti in Cisgiordania, mentre si susseguono le violenze impunite dei coloni contro i residenti. Il piano del governo israeliano si delinea, insomma, con precisione.
La situazione – anche se in tragico movimento militare e politico – è perciò immobile rispetto ai disegni di fondo degli attori in gioco. Hamas non riconosce la sconfitta e non libera gli ostaggi rapiti durante l’ignobile pogrom del 7 ottobre 2023. L’impressione è che voglia portare tutto al collasso per lasciare il marchio d’infamia a Israele.
Dal canto suo il governo israeliano, oltre alla neutralizzazione di Hamas, pensa all’occupazione e allo svuotamento della Striscia. La propaganda (il resort Gaza senza più palestinesi creato con AI), le dichiarazioni e le azioni sul campo sono rivelative. Si tratta dunque di un cortocircuito letale e senza via d’uscita, che provocherà conseguenze gravi nell’intera regione mediorientale. Il tutto è complicato anche per l’ormai evidente sostegno americano a un piano contrario al diritto internazionale, al diritto umanitario e ai diritti umani.
La differenza tra una democrazia e un’organizzazione terroristica è sostanziale. Ma i dati innegabili ed effettivi sono quelli di una tragedia senza nome che può solo peggiorare, portando al buio muto della catastrofe definitiva. Non a caso il presidente della Croce Rossa Italiana, Rosario Valastro ha dichiarato: “Quello a cui stiamo assistendo, praticamente impotenti, nella Striscia di Gaza, rappresenta il punto più basso e più vergognoso di una condotta sprezzante verso il diritto internazionale umanitario, di una volontà evidente di considerare sorpassate le Convenzioni di Ginevra ed il loro portato giuridico”. L’80 per cento della popolazione (ostaggi compresi in mano agli aguzzini), infatti, soffre di malnutrizione grave.

L’ Onu, inoltre, segnala che dalla fine di maggio a oggi sono stati ben 1760 i palestinesi ammazzati in prossimità dei centri della controversa GHF, di fatto una agenzia israelo-americana. Sull’ambiguità oscura dell’organizzazione ha parlato con dovizia di particolari il contractor Anthony Aguilera, poi dimessosi.
Il sangue di tanti civili uccisi inquieta i cuori vigili e percuote le coscienze attente. L’uccisione di tante persone che cercano solo un pezzo di pane, peraltro, è possibile solo a chi, già prima, ha disumanizzato un’etnia. La fame e la morte degli innocenti aumentano perciò in questi giorni a dismisura.
Dovrebbero arrivare 700 camion di aiuti al giorno per soccorrere la popolazione, ma raggiungono la meta solo 60. I lanci paracadutati sono utili, ma del tutto insufficienti rispetto all’entità e alla gravità enorme del problema, ormai innestato. Il contesto, peraltro, è quello di un caldo asfissiante che colpisce un terreno arido con poca acqua da bere e altra che non arriva.
Per questo motivo ben 100 Ong chiedono a tutti gli Stati e ai loro sostenitori di esercitare pressioni su Israele affinché gli aiuti non vengano usati come arma contro i civili, anche attraverso cavilli o impedimenti burocratici, come le procedure di registrazione delle Ong internazionali.
La disumanità di questa storia sta accadendo di fronte ai nostri occhi. Le immagini ci raggiungono e ci feriscono. Lo scandalo della fame chiede risposte urgenti. Non possiamo e non dobbiamo spostare lo sguardo.
Già a maggio, peraltro, in un servizio alla Tv americana NBC, si era parlato dello spostamento di oltre 1 milione di palestinesi dalla Striscia in Libia. Ora si parla anche di Indonesia, Somaliland, Sud Sudan, Uganda.
Ma proviamo a immaginare uno scenario del genere, che comunque si configura come un trasferimento illegale, immorale e inaccettabile. Ammassamento di più di 1 milione di persone affamate in una “cittadella umanitaria”, cioè una sorta di campo di concentramento a cielo aperto di 90 km quadrati. Insomma, una sorta di inferno dantesco in cui al posto dei dannati vengono collocati i civili. Persone malate senza farmaci da mesi, donne assetate, bambini denutriti, feriti e amputati. Problemi igienici gravissimi e lotta per la sopravvivenza in spazi ristretti. Poi la probabile richiesta di una firma consensuale di uscita dalla Striscia in cambio di un pezzo di pane per il trasferimento illegale. Viaggio massacrante, in condizioni disastrose, e altri morti durante il viaggio.
Arrivo, poi, dove? in Libia? Cioè, quasi certa chiusura nelle carceri ben conosciute dai migranti, nuove violenze dalle bande locali e poi tentativi di fuga verso il mare per i più resistenti. Morti in mare, morti nelle carceri, morti durante il viaggio del trasferimento illegale: un nuovo eccidio.
La società civile internazionale non può, perciò, tollerare la morte di un popolo. Occorrono subito azioni umanitarie stringenti, urgenti e unitarie. È lodevole l’iniziativa dell’Italia a favore dei bambini palestinesi feriti o malati. Ma ora l’azione umanitaria deve essere pronta, massiccia ed energica.
Che l’UE, dunque, provveda all’invio di navi ospedale e navi umanitarie. Che tutta la famiglia dei popoli chieda con voce ferma l’apertura dei valichi per l’ingresso di farmaci, acqua e pane. Che vengano attuate azioni politiche immediate e finalmente adeguate per salvare ciò che resta di un popolo.
L’altro giorno è morta a Pisa Marah, una palestinese di soli 20 anni: era uno scheletro di 35 chilogrammi. È scattata subito la polemica, ma un dato è certo: deperimento organico, denutrizione, mancanza di proteine. La sua morte è un grido di giustizia e verità per tutti.
A Monte Sole mons. Zuppi ha scandito i nomi dei bambini trucidati (16 israeliani, 12. 211 palestinesi). Nessuno era un numero, ognuno un volto unico e irripetibile. Nel luogo della strage nazifascista ha detto: “La sofferenza dei bambini deve colpire più di ogni altra. Le lacrime dei bambini sono quello che c’è di più insopportabile. Le loro lacrime devono renderci insopportabile la violenza. Speriamo che questo faccia scegliere a tutti quanti altre vie e di non mettere più in pericolo la vita degli innocenti”.
Di fronte all’appello di mons. Zuppi bisogna decidere, subito. Non c’è più tempo. Di fronte all’innocente che soffre si può essere Erode, Pilato o il buon samaritano. Noi chi vogliamo essere?
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