La Badessa di Valserena: "C'è Uno che ci chiama e tutta la nostra vita è la risposta. Dal grembo materno siamo stati scelti e non possiamo resistere a Dio"
“Noi siamo stufe morte di sentirci dire che non ci sono vocazioni. Ma non è affatto così. Ciascuno è chiamato, ha una vocazione”. Con queste parole decise, la badessa del Monastero Cistercense di Valserena (Pisa) sgombra il campo da equivoci e riduzioni: tutti siamo eletti, per tutti noi la vocazione è “un appello convincente che nasce da un incontro inaspettato”. La chiamata che riceviamo è alla vera conoscenza di sé – “chi sei e chi non sei” – con la scoperta inaspettata di una sproporzione drammatica tra noi stessi, ciò che siamo, e la promessa su di noi che intuiamo a fatica.
“Dal grembo materno siamo stati scelti e non possiamo resistere a Dio”. È ciò che è accaduto alla stessa Madre Francesca Righi, giovane contestatrice del liceo milanese Parini, che si identificava nei versi di Guccini e della sua generazione sessantottina, condannata a “andare via lungo le strade che non portano mai a niente… nella ricerca di qualcosa che non trovano… ad ingoiare la nostra stanca civiltà e un dio che è morto”.
Proprio in quei tempi vuoti ci fu per lei l’incontro inaspettato con un sacerdote che osò dirle: “È ora che tu ti converta”. E lei aprì il cuore a quel Dio che non conosceva. Iniziò così un cammino totalmente nuovo, capendo che Lui era all’origine di tutto ed era ciò che davvero desiderava.

“Ma qual è il metodo per scoprire la propria vocazione?”, le chiede don Paolo Prosperi, sacerdote della Fraternità Missionaria di San Carlo Borromeo, che le pone domande incalzanti durante il seguitissimo incontro della prima giornata del Meeting.
Le chiarificatrici e profonde risposte della Badessa si rifanno alla tradizione monastica, vera sorgente di sapienza per ogni esistenza umana. Ci sono tre tappe fondamentali: il discernimento iniziale della vocazione, la formazione e il compimento finale. È fondamentale essere accompagnati nel discernimento e nella formazione.
Chi si affida a se stesso, dice senza peli sulla lingua Madre Francesca, “è uno stupido”. Occorre avere consapevolezza di ciò che avviene nel profondo della nostra anima, nell’interiorità, per distinguere la volontà di Dio da ciò che voglio io. Dunque, il discernimento è frutto di una conversione interiore, comporta un combattimento dei pensieri, una lotta.
Dire di sì a un incontro fatto, che apre ai desideri più profondi del nostro cuore, implica però rinunciare ad altro. Il criterio della rinuncia è il sigillo di ogni vocazione. Le parole della Badessa ci conducono ben lontano dalla pretesa ingenua di seguire unicamente un progetto personale, che in realtà si ridurrebbe alla “sequela di uno stolto”, cioè di noi stessi.
Don Paolo Prosperi avverte lo scandalo della proposta della monaca cistercense, che nel mondo d’oggi sarebbe considerata pura alienazione, anche per il pregiudizio contemporaneo verso parole come rinuncia o obbedienza, accompagnate dalla paura di abbandonarsi alla volontà di un Altro. Eppure, la strada di San Benedetto, a cui si ispirano le monache cistercensi di Valserena, non è in contraddizione con il compimento dell’io.
Ma come intenderle nel contesto attuale, così geloso della libertà del singolo? Madre Francesca capovolge in modo geniale le obiezioni comuni. Il voto claustrale, per esempio, significa che io non posso più scegliere? Niente affatto, “è piuttosto la promessa di una scelta continua”.
Ma, per comprendere questa prospettiva vertiginosa, bisogna recuperare un’antropologia adeguata, costruire una cultura vocazionale ormai perduta, riscoprendo una paternità vera. Ci troviamo, infatti, in piena emergenza educativa, perché una generazione ha rifiutato la tradizione e ha persino vietato di trasmetterla. Mancano vocazioni? O non è piuttosto vero che mancano padri e madri? E qui arriva l’intuizione illuminante della Badessa: “Non hanno la coscienza di essere figli, come possono essere padri?”.
Insomma, c’è uno iato tra due generazioni che deve essere colmato. Questo può avvenire solo attraverso una cura delle anime, perché è stata letteralmente persa la coscienza di sé. L’ignoranza di sé stessi si accompagna all’ignoranza di Dio, perché si è persa la coscienza di essere figli. Padri che non sono stati figli comunicano solo pigrizia del cuore, accidia.
In sostanza, un’incapacità di guardare alla ricchezza dell’animo umano, che tragicamente conduce all’odio dell’uomo contro la sua propria grandezza: fino alla distruzione di sé e del mondo, che purtroppo è sotto i nostri occhi nella confusa società contemporanea.
L’abbandono della coscienza della grandezza dell’uomo lo porta alla malinconia, l’essere umano perde il suo centro, diventa un “vagabondo intellettuale”, curioso di tutto ma privo di stabilità e preda, prima o poi, della disperazione, perché, come dice San Tommaso, “nessun uomo può abitare nella tristezza”.
Il punto di arrivo del percorso di Madre Francesca, partita dalla dispersione dei suoi diciotto anni, sono le parole di Sant’Ilario di Poitiers: “Io sono un piccolo della terra, ma incatenato dal tuo amore. Prima di conoscere te, il senso della vita mi era nascosto e non aveva senso la mia esistenza; grazie alla tua misericordia ho cominciato a vivere, ora sono senza ambiguità. Ormai sono tuo”.
Ma il suo passato la Badessa non lo nega, anzi: il negativo, nel cammino della vocazione, diventa positivo. E il pubblico del Meeting ha visto la gioia di una vocazione obbediente nello sguardo sereno e certo di una monaca capace di condividere il fascino del suo cammino.
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