Per uscire dall’impasse in Ucraina si potrebbe pensare alla Finlandia del ’44 e alla scelta della neutralità. Ma ora sta cambiando anche la strategia USA
Dalla guerra in Ucraina si fa fatica a uscire. Il dibattito sulla trattativa è incagliato in discorsi ormai sentiti mille volte senza che la situazione si sblocchi. E allora forse bisognerebbe riflettere su altri modelli, su altre possibilità. Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, in un recente articolo sulla rivista diretta da Andrea Gaiani ne ha proposto uno, quello della Finlandia, che nel 1944, vistasi sconfitta dai russi, per mantenere la sua autonomia accettò un accordo che comportava la sua neutralità, sconfessato solo recentemente con l’adesione alla NATO.
Il mondo sta cambiando e gli Stati Uniti, oltre a disimpegnarsi dall’Europa, pensano di abbandonare anche l’Indo-Pacifico per concentrarsi sull’emisfero occidentale, sulle Americhe, oltre che sui suoi problemi interni. Una strategia che lascia scoperta proprio l’Europa, che però non sembra rendersi conto della nuova situazione.
Generale, perché il modello finlandese potrebbe aiutare a trovare una soluzione alla guerra in Ucraina?
Stiamo parlando di un’ipotesi di lavoro che serve per avviare un dibattito, ora assente, specialmente nel contesto europeo. Innanzitutto dobbiamo porci il problema di come potrebbe essere il futuro dopo la guerra, tenendo conto di ciò che rimarrà dell’Ucraina: dove si fermeranno i russi è un tema di fondo ancora tutto da sviluppare. Quello della cessione dei territori e della neutralità dell’Ucraina è un discorso quasi imposto, perché i russi hanno occupato militarmente una parte del Paese e da sempre chiedono che resti neutrale, ritenendolo un requisito fondamentale per la soluzione del conflitto.
In questo contesto cosa ci spiega il modello adottato dalla Finlandia nel 1944 per porre termine alla guerra con la Russia?
La Finlandia a suo tempo ha fatto un ragionamento molto pragmatico: constatato che la guerra stava andando molto male, ha optato per un netto cambio di campo e dichiarato la sua neutralità, scegliendo di negoziare con i russi contro i quali aveva combattuto fino al giorno prima a fianco dei tedeschi, partecipando anche all’olocausto. Per il bene del Paese decise di venire a compromessi molto severi imposti da Mosca. I finlandesi li accettarono salvo poi, dopo 80 anni, entrare nella NATO. Quello finlandese, comunque, non è l’unico modello, ce ne sono altri, come quello dell’Austria.
Pensando allo scenario del dopoguerra in Ucraina, quali altre ipotesi di lavoro dovrebbero essere considerate?
C’è anche l’aspetto delle relazioni bilaterali con la Russia: secondo alcuni analisti è impensabile che gli USA si facciano carico in toto delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina nel futuro. È probabile allora che i Paesi confinanti con la Russia debbano curarsi di cercare un compromesso in chiave bilaterale. Ci sono Paesi che soffrono in modo particolare gli effetti negativi della situazione economica europea. In Belgio, ad esempio, ci sono seri problemi sociali e di occupazione e società che falliscono. L’onda lunga degli effetti della guerra può colpire in modo pesante. Ecco perché bisognerebbe cominciare a fare i conti con la prospettiva che la Russia rientri nella nuova architettura di sicurezza europea, non tanto per gli aspetti militari, ma soprattutto per quelli economici. Può piacere o no, ma è un’ipotesi di lavoro che viene presa in considerazione, almeno in alcuni contesti internazionali.
Un’ipotesi praticabile?
Fino a quando l’Europa si condanna al confronto permanente, tramite la NATO, con la Russia dal punto di vista militare, economico e sociale, queste ipotesi di lavoro saranno difficilmente praticabili. Ma l’evoluzione del conflitto e del post-conflitto dovrà portare a rivedere alcune posizioni che oggi sono radicali.
All’Europa manca la consapevolezza di quello che è successo a partire dall’invasione dell’Ucraina?
I problemi con la Russia non sono iniziati con l’invasione dell’Ucraina, ma decine di anni prima. Far partire la storia dall’operazione militare speciale è un errore: da parte dell’attuale classe dirigente europea c’è la consapevolezza della situazione, ma anche l’impossibilità di riconoscere il fallimento totale che i leader europei hanno provocato seguendo l’agenda dei neoconservatori americani, sposando la quale ci siamo rovinati con le nostre mani. Quello che sta accadendo in Francia adesso è emblematico: è indebitata fino al collo, fa mancare la fiducia al programma lacrime e sangue di Bayrou e al tempo stesso si indebita ancora maggiormente in un programma di riarmo che non può sostenere. Questa è la dimostrazione evidente che c’è un cortocircuito nella classe dirigente.
In questo quadro come cambia il ruolo degli Stati Uniti?

Gli Stati Uniti piano piano perderanno importanza in Europa e questo rientra nella nuova strategia di difesa nazionale. Politico ne ha parlato già nel maggio scorso, ma adesso la notizia riceve conferme: la nuova strategia vedrebbe gli USA abbandonare quasi completamente l’impegno nell’Indo-Pacifico, quindi il confronto con la Cina e con la Russia, per dedicarsi completamente all’emisfero occidentale, nel quale l’Europa gioca un ruolo assolutamente marginale.
In pratica che cosa sta accadendo?
I russi vincono in Ucraina, la guerra è praticamente persa, la Russia si è rafforzata e non c’è verso di farla uscire di scena. Uno dei presupposti del piano statunitense sulla Cina, tuttavia, era che non si poteva fronteggiarla fino a quando non si fosse stati sicuri della sconfitta di Mosca, che invece sta assumendo un ruolo di leadership, insieme a Pechino, nell’ambito dei BRICS. Gli USA si rendono conto di non poter vincere il confronto militare con la Cina. Quantitativamente e qualitativamente hanno delle forze armate che non riescono a reggere il confronto: diverse simulazioni e analisi sono apparse anche nella letteratura specializzata americana, dove vengono messi in evidenza grossi problemi, soprattutto per quanto riguarda la marina.
Queste considerazioni come cambiano la strategia degli Stati Uniti?
Gli USA, che vogliono comunque mantenere un atteggiamento di dominio globale, si trovano ad allontanarsi da alcuni teatri per convogliare le proprie forze, che non sono tantissime, verso l’emisfero occidentale. Un’ipotesi di lavoro che nasce tenendo conto anche di altri due elementi: il fallimento del tentativo di allontanare l’India dalla Cina e dalla Russia (New Delhi ha aperto al multipolarismo tanto caro proprio ai russi) e quello della marina, che non è riuscita a proteggere le rotte commerciali nel Mar Rosso, dove gli Houthi hanno fatto il bello e il cattivo tempo.
Cosa significa occuparsi dell’emisfero occidentale?
Le Americhe. Basta pensare alle navi che gli USA hanno inviato recentemente in Venezuela per combattere il narcotraffico, e agli F-35 dislocati a Portorico.
Gli americani guardano principalmente al “giardino di casa”?
Sì.A questo bisogna aggiungere il tema dell’ordine interno. Il fatto che Trump schieri l’esercito nelle città e mobiliti la Guardia Nazionale non è un segnale di prosperità e di salute.
Tutto questo avrà ripercussioni anche sulla NATO?
Se Trump molla l’Europa e lascia che se ne occupino gli europei, l’Alleanza atlantica cosa esiste a fare? Qui si tratta di garanzie di sicurezza non tanto per l’Ucraina, quanto per l’Europa stessa. Chi le darà, se militarmente gli USA si tirano fuori? Si è creato un enorme cortocircuito nel quale la leadership europea non ha capito che deve cambiare rotta.
Per capire questa situazione c’è bisogno di riflettere su modelli nuovi. Ma chi potrà svilupparli?
Non la stessa classe dirigente europea che ha portato a questo disastro, perché è chiaro che ce ne dovrebbe essere una molto più avveduta, che comprenda che non è più nell’interesse dell’Europa seguire la strada attuale.
(Paolo Rossetti)
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