Trasformare una casa occupata in un rifugio per migranti non costituisce reato: i giudici di Torino assolvono gli attivisti di Chez JésOulx
Sembra essersi definitivamente chiusa la partita giuridica che si è aperta attorno a quella rinominata “Chez JésOulx“, ovvero una casa occupata in Val Susa e trasformata da un gruppo di attivisti in un rifugio per migranti: a chiudere la partita – ci arriveremo a breve – è stato il tribunale di Torino che ha assolto gli attivisti che erano stati denunciati, dando anche seguito a una similare sentenza già pronunciata – in un caso separato – dalla Corte d’Appello del capoluogo sabaudo.
Partendo dal principio, è utile ricordare che della casa occupata si parla almeno dal 2018: fu proprio in quell’anno – al centro di un’ampia ondata migratoria che passava per le Alpi piemontesi – che gli attivisti decisero di forzare gli ingressi dell’abitazione (d’altra parte abbandonata da parecchi anni, ma pur sempre proprietà demaniale), prenderne possesso e trasformarla in un rifugio autogestito per migranti.
Al suo ingresso – testimoniarono le telecamere della DIGOS – transitarono centinaia e centinaia di migranti che lì trovarono un vero e proprio presidio di accoglienza per aiutarli a superare il complesso inverno alpino: trattandosi di una casa occupata, però, negli anni vi sono stati diversi tentativi di sgombero e altrettante ri-occupazioni, nel corso dei quali sono stati denunciati decine e decine di attivisti.
Casa occupata trasformata in un rifugio di migranti: per i giudici non si configura alcun reato
La prima volta che la casa occupata in Val Susa è finita sui banchi di un tribunale erano stato imputate 19 persone con l’ipotesi di reato di invasione di edifici privati: solamente lo scorso anno – precisamente a novembre – la Corte d’Appello aveva assolto tutti e diciannove i soggetti, appellandosi all’articolo 54 del Codice penale che sancisce il principio di “necessità” quando si commette un reato al fine di “salvare sé o altri” da un potenziale pericolo di morte.

Secondo i giudici, infatti, la casa occupata doveva essere inserita nella cornice degli ampi afflussi di migranti, della scarsità delle strutture di accoglienza (a Bardonecchia vi erano solo due letti governativamente disposti, oltre ad altri 20 notturni offerti dai Salesiani) e dei 15 decessi di richiedenti asilo dovuti all’inospitalità del territorio alpino: aspetti che resero Chez JésOulx un presidio – appunto – utile per salvare vite umane.
Oltre a quel caso, contestualmente se ne aprì – sempre lo scorso anno – un secondo a carico di altri 13 attivisti, responsabili di una nuova occupazione dopo l’ultimo sgombero: a chiudere la partita è stato il giudice monocratico di Torino che ha fatto fede alla pronuncia della Corte d’Appello nel definire che l’operato degli attivisti denunciati era – esattamente come nel primo caso – fine esclusivamente a salvare le vite dei migranti.
