È stato arrestato il presunto assassino di Charlie Kirk: Tyler Robinson, 22 anni. Il padre lo ha aiutato a costituirsi. Così funzione l'ideologia dell'odio
È stato arrestato il presunto assassino di Charlie Kirk, trentunenne attivista conservatore e padre di due bambini, ucciso il 10 settembre durante un incontro con gli studenti alla Utah Valley University. Si tratta di Tyler Robinson, 22 anni, riconosciuto dal padre nelle immagini di sorveglianza e consegnato da lui stesso alla giustizia.
Ad un parente Tyler aveva confidato il suo odio per Kirk. Decisive, per capire la natura dell’attentato, sono state le iscrizioni trovate su alcune cartucce non esplose – “Hey fascists! Catch!” (“Ehi fascisti! Prendete!”), “Bella ciao, bella ciao…”, “If you read this, you are gay LMAO” (“Se leggi questo, sei gay ahah, rido a crepapelle”) – un miscuglio di slogan politici e linguaggio da troll che mostra come l’omicidio sia stato concepito come una provocazione ideologica e mediatica.
Colpiva in particolare la citazione di Bella ciao, canzone della Resistenza italiana divenuta in seguito inno della sinistra radicale e conosciuta negli Stati Uniti soprattutto grazie alla serie Money Heist (La Casa de Papel).
Quelle frasi incise sono il segno di un odio coltivato in un clima culturale in cui il dissenso non si affronta più con le parole, ma si riduce ad etichetta e insulto, fino a trasformare l’avversario in un nemico da abbattere. Così la violenza non appare più un tabù: diventa la conseguenza estrema, ma logica, di un pensiero che ha smesso di credere nel confronto democratico.
Ed è proprio in questo stesso clima che, mentre la vita di Kirk era ancora appesa a un filo, alcuni canali televisivi si sono spinti a commentare l’accaduto con parole che hanno indignato milioni di americani. Su MSNBC si è insinuato che Kirk fosse responsabile di hate speech (“linguaggio d’odio”) e che, in fondo, dovesse aspettarsi una reazione violenta.
Nulla di più falso: chiunque abbia assistito ai suoi interventi sa che era una delle voci più pacate e ragionevoli del panorama politico. Non ha mai incitato all’odio, non ha mai insultato i suoi avversari; al contrario, quando veniva provocato o attaccato da studenti, rimaneva calmo, ascoltava e rispondeva con argomenti solidi, senza mai alzare i toni. Proprio questa sua capacità di mantenere un confronto civile smonta qualunque accusa di hate speech e spiega perché il suo messaggio faccia così paura a chi non tollera il dissenso.
Quelle frasi pronunciate mentre la sua vita era ancora in bilico, che suonavano come una giustificazione – come se l’eliminazione fisica di chi dissente fosse un epilogo naturale – hanno poi costretto la presidente di MSNBC a scusarsi e a licenziare il commentatore responsabile. Ma il danno era ormai fatto. E la CNN non è stata da meno, titolando: “ucciso un esponente di estrema destra (far-right)”, dando l’impressione che Kirk fosse un facinoroso esaltato, un estremista violento da archiviare senza rimpianti. Un’etichetta ingiusta e fuorviante, che non riflette in alcun modo la realtà del suo stile e della sua azione politica.
Neppure in Italia la distorsione si è fermata. Alcuni media e commentatori di sinistra si sono affrettati a definirlo “fascista”, arrivando perfino ad attribuirgli frasi mai pronunciate: un giornalista, sul suo profilo Facebook, ha descritto Kirk come “una persona che per anni ha evocato la lapidazione per gli omosessuali, calpestato i diritti delle donne, invocato la schiavitù e la segregazione razziale per i neri, esultato per il genocidio dei palestinesi”.
Ecco come si getta fango su persone innocenti mentendo e si giustifica il loro omicidio. Queste sono le parole che armano le mani degli assassini. Ovviamente, questo giornalista non ha esibito alcun video in cui Kirk direbbe queste cose, né i suoi seguaci lo pretendono, dato che preferiscono spegnere il cervello e affidarsi al loro guru mediatico. Uno di loro ha dichiarato che non voleva perdere tempo a guardare il video di un “odiatore seriale”, quindi definito tale senza averlo mai ascoltato.
In realtà, Kirk era un giovane rispettoso, convinto del valore del confronto delle idee. Si poteva non condividere le sue posizioni, ma bisognava riconoscergli almeno l’onestà intellettuale. Il format che lo aveva reso celebre era quanto di più democratico si fosse visto negli ultimi anni: microfono aperto nei campus universitari, dove chiunque poteva attaccarlo e ricevere risposte puntuali, spesso incentrate proprio sulle contraddizioni del pensiero unico.
Il suo obiettivo non era mai zittire, ma stimolare i giovani a riflettere oltre gli slogan. Marchiarlo come “fascista” solo perché sapeva parlare alle nuove generazioni e risvegliare in loro il ragionamento è vergognoso e disumano.
Purtroppo, chi segue ciecamente certi media difficilmente si prende la briga di verificare di persona, di guardare un dibattito integrale, di ascoltare la voce diretta dell’accusato. È il segno di un problema più profondo: una parte crescente della popolazione si chiude in bolle informative impermeabili, ascolta solo ciò che conferma le proprie convinzioni e rifiuta qualunque confronto con opinioni diverse. È in questo terreno avvelenato che l’odio attecchisce e la violenza finisce per sembrare, a qualcuno, quasi legittima.

Kirk aveva scelto il terreno più difficile: i campus universitari. Lì dove il conformismo progressista si fa più rigido, lui portava il coraggio di dire che non esiste un solo modo di pensare. Invitava i giovani a ragionare con la propria testa, a non limitarsi a ripetere slogan, e in questo modo dava voce a quella minoranza silenziosa di studenti conservatori che spesso hanno paura di esporsi per timore dell’isolamento sociale. Un timore fondato: il cosiddetto “effetto silenziamento” è oggi una realtà.
I numeri lo dimostrano. Secondo un sondaggio nazionale condotto subito dopo le presidenziali del 2024, il 58% degli studenti universitari ha votato per Kamala Harris, il 40% per Donald Trump e il 2% per candidati terzi. Una percentuale enorme di giovani conservatori, che smentisce la narrazione semplicistica dei campus come roccaforti monoliticamente progressiste.
E se guardiamo a Stati chiave come il Wisconsin, i dati diventano ancora più eloquenti: nei wards (sezioni elettorali) a maggioranza studentesca Trump ha guadagnato circa 10 punti rispetto al 2020, un balzo che ha contribuito in modo determinante alla sua vittoria nello Stato. Dietro queste cifre c’è la testimonianza concreta che molti studenti tacciono in pubblico ma si esprimono nell’urna, lontano dallo sguardo giudicante di compagni e professori.
Charlie Kirk dava fastidio perché dimostrava che il consenso non è uniforme, che esiste un dissenso vivo anche dove sembra bandito, e che la libertà di pensiero non è ancora stata cancellata. La sua forza stava nel rendere visibile ciò che altri volevano occultare. Ed è questo il motivo per cui la sua eliminazione fisica, oltre a essere un crimine orrendo, assume il valore di un messaggio: chi sfida i dogmi dominanti non solo va isolato, può essere addirittura tolto di mezzo.
Ma parliamoci chiaro: a condannarlo è stata soprattutto la sua presa di posizione sulle teorie gender. Federico Rampini ha definito i sostenitori di questo movimento “una lobby cattivissima e pericolosissima”. Non è più un semplice tema di dibattito culturale: oggi assistiamo a una pressione crescente e martellante per imporre determinate visioni, soprattutto nelle scuole e nelle università. Nascono cattedre per spiegare che “non si può definire cosa sia una donna”. A bambini delle elementari viene detto che “potrebbero essere nati nel corpo sbagliato”. Psicologi spiegano ai genitori di adolescenti problematici che l’unica soluzione è il cambio di sesso, altrimenti i loro figli rischiano di suicidarsi. Chiunque osi opporsi rischia molto: prima la reputazione, poi l’isolamento sociale e, come abbiamo visto, persino la propria vita.
E sorge una domanda inevitabile: come faceva un giovane di appena 22 anni ad avere una mira tanto formidabile, capace di centrare il bersaglio da oltre duecento metri? Non risulta avesse un passato militare, né un addestramento specifico. Un dettaglio che lascia aperti molti interrogativi sulla dinamica dell’assassinio e su chi possa averlo sostenuto o istruito.
Quello che oggi deve preoccupare non è soltanto l’assassinio di un uomo, ma il clima culturale che lo ha reso possibile: un clima in cui chi si proclama paladino della tolleranza alimenta in realtà l’intolleranza più feroce. Un clima in cui il dissenso non si affronta con argomenti ma si schiaccia con la delegittimazione e, se necessario, con la violenza.
La morte di Charlie Kirk non riguarda solo i suoi sostenitori: riguarda la democrazia stessa, perché se diventa accettabile uccidere chi non condivide il proprio pensiero, allora muore anche la libertà di tutti.
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