Trump ha detto di sperare che a Robinson, assassino di Kirk, sia comminata la pena di morte. Nel dramma di Charlie tutte le contraddizioni degli Usa
È sempre difficile definire le vittime di un’aggressione, che si tratti di violenza politica, di guerra tra Stati o anche semplici relazioni interpersonali. Nella nostra definizione rimangono inevitabilmente impigliati elementi giudicanti; il rischio, perciò, è che commentare la condotta dell’aggredito diventi un modo di fornire elementi di giustificazione dell’aggressione. E al tempo stesso ci censuriamo dal farlo, proprio per evitare il senso di colpa derivante da ogni ipotesi di apologia dell’attacco fisico.
Visto che questo eccesso di autolimitazione è in realtà più spesso un prodotto culturale e non una scelta personale, non c’è da stupirsi se a qualcuno salta in mente di difendere apertamente comportamenti d’odio contro qualcun altro, nel tentativo (anch’esso isolazionista e autoreferenziale) di rompere la bolla di ipocrisia del politicamente corretto.
Chi era Charles James “Charlie” Kirk, il trentunenne ucciso a colpi di arma da fuoco durante un evento alla Utah Valley University? La domanda non è un artificio retorico, ma una necessità concreta, poiché abbiamo scoperto di essere tante cose, tanti marcatori dell’identità da vivi, e a maggior ragione lo siamo in morte.
Kirk, per dirne una, era un giovane padre di famiglia che esaltava il valore della prole. Ed era tra i più noti esponenti dell’opinione iperconservatrice negli Stati Uniti: quella massa demografica e demoscopica che ha sancito uno spostamento a destra del Partito repubblicano, dal suo centrismo conservatore fortemente istituzionale al suo radicalismo esibizionista e menefreghista.
Colpa di Kirk? Assolutamente no, in realtà, perché tutti i partiti governativi agiscono sempre dovendo utilizzare atti e parole che tendono alla dimensione formale della politica, non potendo più solo fare leva sulle parole d’ordine delle loro campagne elettorali.
E Kirk era, peraltro, l’abilissimo mentore di un’associazione di intervento culturale diventata, come nella “migliore” tradizione americana, una vera e propria holding della comunicazione elettorale: la sua “Turning Point Usa” aveva un braccio per la propaganda a favore dei candidati d’area, uno per l’intervento nelle scuole e nelle università, uno per la contabilità e l’ottenimento di risorse, uno per il proselitismo religioso e la capacità di lobbying delle sue chiese e congregazioni. Scatole cinesi di una macchina perfettamente oliata e proprio per questo efficacissima.
Negazionista, complottista, disfattista… Si è preso epiteti di tutti i tipi, ma alcune sue celebri affermazioni davano una qualche ragione a queste “taglie” saccenti nel regno dell’opinione a tutti i costi. Ad esempio: la guerra tra Russia e Ucraina non ha alcuna implicazione internazionale, è una guerra di confine (è appena il caso di notare che proprio le guerre di confine sono quelle internazionalmente più significative). Il Covid-19 è stato un morbo di importazione cinese per fare passare norme repressive e profittevoli per le multinazionali (il Covid sarebbe allora un flagello o una balla?). Le università sono un apparato e contemporaneamente non contano nulla. La soluzione al problema? Creare nuove università.

La verità è che Kirk forse espresse ed esprime una intelligenza e a suo modo una ruvidezza tipicamente figlie dell’odierno “spirito” americano. Perché la continuità ininterrotta della società americana e della sua morale dominante si è basata sull’imposizione comune di un modo di pensare, dove l’interesse si tutelava tanto più efficacemente quanto più fosse stato non dibattuto, non questionato, non messo in dubbio. Basato su un homo oeconomicus vitruviano effettivamente e per davvero bianco, maschio e protestante: prototipo silenzioso dell’unità di misura del tutto.
Quando quel target di riferimento, proprio per essere mantenuto, ha avuto bisogno di andare leggermente fuori fuoco e deviare verso accomodamenti più concessivi, il sistema è andato in crisi.
Perché la cultura accademica può dettare soluzioni anche per i moltissimi che ad essa non appartengono? Perché accettare che l’identità, per sopravvivere, debba smussarsi proprio negli estremi che l’hanno costituita? Perché tollerare che esistano molteplici opinioni, se proprio quella maggioritaria rischia all’apparenza di essere considerata equipollente a tutte le altre?
L’establishment americano per tentare di regolare la pluralità (“E pluribus unum”) ha dovuto rimuovere il fatto che nei suoi umori essenziali c’è un contenimento originario della pluralità irriducibile. E Kirk è stato il figlio di questa estrema polarizzazione sorta dal non avere un’idea collettiva del come passare dalla crescita all’età adulta, dove si smette di crescere e si tenta di preservarsi.
Il collante unitario della narrazione a stelle e strisce stava nell’etichetta della libertà; ma una libertà che non si organizza per esistere (nel culto, nelle scelte sessuali, nei rapporti internazionali esattamente come in quelli di vicinato) è destinata a non significare più la stessa cosa per ognuno.
La clausola di salvezza dello Stato americano, al netto di tutte le sue lacerazioni e iniquità, si è convertita in un antistatalismo di maniera, fatto proprio innanzitutto dalla classe dirigente. Se non c’è un tutto che si tiene unito, la libertà di circolazione delle armi è la difesa non di ciò che è propriamente mio, ma di quanto mi autorizzo a percepire esclusivamente mio: una pretesa o un valore, un confine o una trasgressione del confine. Tutto, proprio tutto, diventa contendibile.
Con due immani rischi innanzi a un orizzonte vuoto: che se tutto è competibile, chi realmente è forte non è neanche sfiorato dal fastidio della debolissima competizione altrui.
E se tutto si contende, quel “normale” processo violento di conflitto tra interessi investe ogni cosa: un’idea di società e di Stato, una salma alla fine di un comizio. Il cadavere del presunto colpevole, persino. La solita sobria dichiarazione presidenziale annuncia la forca a reti unificate. Il processo? Un ammennicolo, quando parlano le pistole.
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