Il viaggio che Dio ci chiede è quello della vita, che si compie solo nella sua compagnia. È un viaggio per audaci, per chi ama la propria libertà
Moltissimi di noi sono “reduci” dalle vacanze che hanno, come momento decisivo, il viaggio. Occorre prepararlo, curarne i dettagli, impiegare delle risorse, lasciare le nostre comodità quotidiane e essere sempre aperti a qualsiasi tipo di imprevisto. Insomma, non è mai scontato. Sapendo la meta, però, lo affrontiamo volentieri. Il viaggio, in un certo senso, rivela a noi stessi i nostri reali interessi, per cosa siamo disposti a muoverci.
Il primo giorno di scuola, dialogando coi ragazzi, mi è venuta in mente la poesia di Fernando Pessoa Se io, ancor nessuno nella quale scrisse così: “Viaggiare! Perdere paesi! / Essere altro costantemente, / non avere radici, per l’anima, / da vivere soltanto di vedere! / Neanche a me appartenere! / Andare avanti, andare dietro / l’assenza di avere un fine, / e l’ansia di conseguirlo! / Viaggiare così è viaggio. / Ma lo faccio e non ho di mio / più del sogno del passaggio. / Il resto è solo terra e cielo”.
Ho chiesto loro quali erano gli atteggiamenti con cui iniziavano l’anno, l’ultimo delle superiori. Quasi tutti hanno risposto auspicando un maggiore impegno nello studio per chiudere bene il percorso. Li ho incalzati chiedendo come fosse possibile realizzare questo “maggiore impegno”. “Facendosi venire la voglia”, rispondono alcuni. “Che cosa consente l’accendersi in noi della voglia di fare le cose?” chiedo io. Ne è nato un confronto molto intenso che spero continui.
Spesso la mossa della nostra persona è determinata dalla posizione ben descritta da Pessoa. Iniziamo le cose senza aspettarci nulla da ciò che viviamo, così, anche le aspettative più grandi, vengono travolte dal cinismo, come ci ricorda la prima lettura di oggi: “Il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: ‘Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero’” (Nm 21, 4-5).
Si può persino arrivare al punto di rimpiangere i tempi passati quando la schiavitù era la condizione di ogni giorno. Il viaggio di Dio ci sembra troppo rischioso, senza garanzie, non disponibile al nostro controllo. E, lo sappiamo, ogni inizio ha in sé queste caratteristiche. Verrebbe da dire che è solo per audaci intraprenderlo, curiosi di scoprire cosa riserverà.
In realtà, in classe, un’ipotesi è già emersa dai ragazzi: osservare la realtà e il desiderio di cercare in modo nuovo ciò che abbiamo intuito come un bene per la vita. Non tutto, infatti, ha la forza di muoverci sul serio e senza formalismi. Un vero interesse lo riconosciamo proprio dal fatto che trova noi originalmente disposti ad assecondarlo. Questa disponibilità è uno dei carismi che lo Spirito di Dio accende nel nostro cuore, perché spesso stupisce anche noi.
La grande mistica Adrienne Von Speyr (1902-1967), a proposito della docilità allo Spirito Santo, in un articolo scrisse che: “C’è sempre qualche segno di certezza e sicurezza nello Spirito anche in mezzo alla mancanza di sicurezza della vita nel mondo. E tuttavia, quanto più grande è l’esigenza e perciò la collaborazione che ci è richiesta, tanto più si deve soltanto lasciar disporre. In tal caso, richiede più impegno da parte nostra non essere noi ad avere l’iniziativa della risposta, e mentre ci lasciamo amare non corrispondere a questo amore secondo regole proprie. Non è un esercizio per principianti” (Verfügbarkeit zum Geist, Johannesgemeinschaft-Archiv, Basel, Dattiloscritto).
Che si svolga in classe, in ufficio, in casa, su un campo da gioco, nel traffico, in un letto, in convento, in officina, sul tram, in aereo… resterà sempre un viaggio per audaci.
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