L'Opas su Mediobanca di Mps ha avuto successo. E il Presidente Nicola Maione ha spiegato il nuovo obiettivo
La quiete dopo la tempesta – attorno a Mediobanca – è solo apparente. Risente in misura forse naturale di dieci mesi di battaglia dall’esito fino all’ultimo incerto. Il finale è stato tuttavia una “landslide” di adesioni all’Opas lanciata da Mps (l’86% dopo la riapertura terminata lunedì scorso). E a conferma che “è tutto vero” ci ha pensato il Presidente di Mps, Nicola Maione, avvertendo che il piano del Monte su Mediobanca comincia ora e si pone traguardi “finora impossibili”.
La “madre di tutte le Opa” – quella della “razza padana” su Telecom nel 1999 – fu vinta di un’incollatura, al 52%: non da ultimo con le consegne decisive dei pacchetti detenuti da Tesoro e Bankitalia. E quell’operazione – coincisa con il debutto dell’euro e annunciata come epocale dal Governo D’Alema – non mantenne le promesse: quelle di rilanciare una privatizzazione subito abortita per la rinuncia della famiglia Agnelli a essere investitore pivot della più grande dismissione realizzata da Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi (con Mediobanca come advisor dell’Ipo integrale sul mercato).
Telecom – come del resto Autostrade – non divenne il simbolo di un nuovo capitalismo capace di affermare in Italia tutti i mantra della globalizzazione di mercato. Non è stata Telecom-Tim – a dispetto dell’ottimo debutto della telefonia mobile, ancora sotto la Stet pubblica – a innescare in Italia o in Europa l’incipiente trasformazione digitale. Né Autostrade è mai diventata una fabbrica di infrastrutture di nuova generazione: è invece crollata col Ponte Morandi ed è finita addirittura ristatalizzata.

La “nuova Mediobanca” – di cui Mps è già azionista di maggioranza assoluta dopo l’acquisto del 62,3% depositato nell’offerta principale – debutta in uno scenario molto diverso. Una comunità di mercato che ha oscillato per mesi fra lo scetticismo e un’attesa prudente, ha concentrato la sua attenzione sull’esito puro e semplice della lunga contesa ingaggiata da Francesco Gaetano Caltagirone e da Delfin per il controllo delle Generali, a valle di piazzetta Cuccia. Il fatto che l’Opas fosse invece il veicolo di un’iniziativa strategica in un settore di primo livello dell’Azienda-Italia è stato per lo più in secondo piano: vittima talora di una una lettura distorta e riduttiva della riprivatizzazione del Montepaschi.
Quest’ultima – che è stata la vera incubatrice dell’aggregazione di Mediobanca sul mercato – è stata invece trasparentemente impostata dal Mef di Giancarlo Giorgetti come un passo alto di politica creditizia: votato al rafforzamento dell’intero sistema bancario nazionale; e non dimentico che già nel “contratto di governo” fra M5S e Lega, Matteo Salvini (oggi Vicepremier come allora) aveva voluto citare Mps come perno di un terzo polo prezioso per il sistema-Paese.
L’idea originaria – quella di sviluppare Mps come rete al servizio della Cassa depositi e prestiti – è stata poi ripresa dal Governo in carica in un contesto più largo e sfidante: che non sembra avere ambizioni e impatti attesi inferiori ai grandi processi di privatizzazione e aggregazione che portarono alla nascita di Intesa Sanpaolo e UniCredit.
Commetterebbe dunque un errore chi desse per scontato l’assorbimento puramente finanziario di Mediobanca in Mps, addirittura con la possibile scomparsa del marchio. E chi continuasse a guardare solo al riposizionamento delle Generali rischierebbe di perdere di vista la dinamica di fondo: “Vogliamo cambiare il sistema bancario nazionale”, ha sottolineato Maione. Il sistema che – attorno all’hub nazionale di Siena fin dal 1472 – muove il risparmio delle famiglie verso il credito alle imprese. Per rendere possibile ciò che sembra impossibile. Che è poi ciò che è riuscita a fare – in molti passaggi della storia dell’Italia repubblicana – la Mediobanca di Enrico Cuccia.
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