Il sindacato è anche e soprattutto una comunità di lavoratori e questo deve valere anche per alcune categorie come i rider
Aristotele ricordava che l’uomo è, per sua natura, un essere sociale. Un principio che può e deve essere richiamato anche oggi come bussola dell’azione sindacale. Viviamo infatti in un’epoca segnata dall’ideologia dell’individualismo, secondo la quale ciascuno dovrebbe bastare a se stesso, libero da ogni vincolo sociale. È in nome di questa visione che negli anni Ottanta la Premier britannica Margaret Thatcher arrivò ad affermare che “la società non esiste, esistono solo gli individui”.
Per il sindacato, questa deriva rappresenta un rischio enorme. Perché se la Cisl pone al centro la persona non dimentica mai che la sua dignità si esprime pienamente solo nella dimensione sociale e comunitaria. Il sindacato è, prima di tutto, comunità di lavoratori: nasce e vive di solidarietà e giustizia sociale, corollari indispensabili di una società autenticamente umana.
La contemporaneità, però, pone al sindacato sfide nuove. Non solo per i grandi mutamenti economici, ma anche per le trasformazioni quotidiane delle abitudini di vita e delle forme di lavoro.
La fabbrica novecentesca, luogo per eccellenza della condivisione di tempi e spazi, è stata affiancata – e in alcuni casi sostituita – da modelli fluidi e frammentati. Lo smart working ha reso la casa, il bar o la biblioteca possibili uffici temporanei.
Ancor più radicale è il caso dei rider: nessun luogo di lavoro definito, nessun orario fisso, nessun confronto quotidiano con colleghi. Il lavoro si riduce a una chiamata da una piattaforma, a una consegna rapida, a un contatto fugace con il cliente.

In queste condizioni, costruire comunità diventa complicato. Non c’è spazio per la socialità che un tempo nascevano naturalmente attorno alla catena di montaggio o in mensa. Talvolta, addirittura, i rider finiscono per percepirsi come concorrenti più che come colleghi.
Per questo la FeLSA Cisl ha scelto di agire in modo concreto: creare luoghi reali, fisici, dove i rider possano riscoprire anche la dimensione sociale del lavoro. Non semplici spazi di appoggio, ma punti di incontro.
Qui i lavoratori potranno sostare, ristorarsi, riposarsi in sicurezza. Ma soprattutto potranno parlarsi, confrontarsi, condividere esperienze e problemi. In altre parole, potranno tornare a vivere quella dimensione comunitaria che è condizione essenziale per sviluppare una coscienza collettiva.
Il primo di questi spazi sorge a Torino, in piazzetta Aldo Moro a Nichelino. Si tratta di una sfida inedita anche per il sindacato. Se un tempo la sindacalizzazione passava attraverso l’assemblea nel sito produttivo, oggi deve saper assumere nuove forme: gestione diretta di luoghi dedicati, promozione di iniziative di socialità, rafforzamento dei legami tra lavoratori.
Di fronte alla rivoluzione industriale, i luddisti dell’Ottocento pensavano di fermare il cambiamento distruggendo i telai. Ma il mondo cambiò lo stesso. Anche oggi il lavoro cambia e continuerà a cambiare. Per questo il sindacato non può limitarsi ad assistere: deve provare a modellare la trasformazione secondo i propri principi, offrendo nuove risposte e nuove possibilità di comunità. Un “luogo tra i non luoghi” è un primo tentativo.
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