Amoroso, presidente della Consulta, ha rilasciato a Repubblica un’intervista tutta politica in cui dice al Parlamento cosa deve fare sul fine vita
Il presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Amoroso, ha rilasciato un’intervista a Repubblica dal titolo “Sul fine vita la Consulta si è già espressa. Ora il Parlamento acceleri”. Può essere sembrato un momento di fisiologia istituzionale e mediatica. In realtà non lo è stato affatto, anzi, è parso l’ennesimo passaggio di una delle molte anomalie ormai radicate nella vita democratica.
Non è compito della Consulta – tanto meno del suo presidente in via singolare – sollecitare il Parlamento ad “accelerare” un qualsiasi provvedimento di legge. Il potere legislativo – espressione diretta della sovranità popolare – non ha il dovere neppure minimo di rispondere ai giudici costituzionali su tempi, modi e contenuti della propria attività normativa. Solo il presidente della Repubblica può eccepire a una decisione del Parlamento o del governo, ma nella correttezza istituzionale della loro attività, non nel merito politico.
La Corte ha invece fra le sue funzioni quella di accogliere ed esaminare i ricorsi via via presentati sulla costituzionalità di norme di legge approvate dal Parlamento e promulgate dal Quirinale. E quando vi sono le condizioni per una pronuncia, la Consulta opera nelle sedi e con gli strumenti previsti dalla legge: non con interviste domenicali di sapore politico sui quotidiani (nel caso specifico, su un organo d’informazione vicino all’opposizione parlamentare).

Non tira per la giacca il Parlamento – o il Governo – un presidente della Consulta proveniente dalla magistratura ordinaria, designato di fatto da un club ristretto di colleghi della Corte di Cassazione (per alcuni – non per chi scrive – cuore della casta corporativa giudiziaria, in questo momento in scontro frontale con la maggioranza di governo per la riforma della giustizia).
Il presidente della Consulta non rilascia dichiarazioni in libertà sul Parlamento in una domenica elettorale. E magari neppure il lunedì o il martedì: come lo stesso Amoroso ha fatto dopo l’ultimo referendum promosso – e perso – principalmente dalla Cgil.
Il presidente della Consulta – sollecitato dal medesimo quotidiano – ha subito sollecitato un abbassamento del quorum di validità dei referendum. Ciò che avrebbe forse consentito a Maurizio Landini di lanciarsi nella sua auto-candidatura personale a leader del “campo largo” di centrosinistra.
Sono passati appena quattro mesi e Landini non demorde: alla testa di uno sciopero politico, acceso da black bloc in piazza. Violando la legge e una pronuncia urgente del Garante, ma agitando la necessità di difendere “l’ordine costituzionale”. È opportuno per un presidente della Consulta mettersi al fianco di un leader sindacale che non fa più il suo lavoro – tutelare i lavoratori – ma solo politica?
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