Applicare il piano di Trump per Gaza non sarà facile, soprattutto se Israele “costringerà” gli USA ad attaccare l’Iran. Ecco perché
Il piano di Trump per Gaza può fallire, e i primi screzi tra le parti si sono avuti con la chiusura del valico di Rafah per la mancata consegna dei cadaveri di alcuni ostaggi. Ma il vero pericolo viene da uno scenario ormai ipotizzato da diversi analisti, quello di una nuova guerra all’Iran, che distoglierebbe l’attenzione mondiale dalla Palestina permettendo a Israele di portare a termine il suo piano di allargamento territoriale.
Israele, spiega Alberto Bradanini, ex ambasciatore italiano in Cina e in Iran, guida da sempre la politica estera americana grazie all’influenza delle lobby ebraiche USA e ora terrebbe in pugno Trump. Per questo gli Stati Uniti potrebbero facilmente assecondare gli israeliani in caso di nuovo conflitto con Teheran.
L’accordo per il cessate il fuoco a Gaza è stato celebrato con grande enfasi. Il piano di Trump è realizzabile?
Il sospiro di sollievo per la fine della strage quotidiana di Gaza, del genocidio giornaliero di persone inermi è grande. Ma un conto è il giustificato desiderio di speranza dell’opinione pubblica, un conto quello che dicono i politici, che sono da prendere cum grano salis, perché spesso mentono o dicono bugie mescolate a verità. Che ci sia stato un cessate il fuoco e che la gente non muoia più è una buona cosa, che questo status continui nel tempo è quantomai dubbio.
Che cosa non quadra ancora?
L’obiettivo di Netanyahu era di cacciare i palestinesi in Egitto e Giordania. Il Cairo, però, ha detto che non aveva nessuna intenzione di prendersi 2 milioni di gazawi, per evitare problemi interni e non uccidere sul nascere l’aspirazione palestinese ad avere una patria. Amman, invece, la cui popolazione è già per oltre il 50 per cento palestinese, accogliendone altri rischiava di diventare una sorta di Stato della Palestina. Il premier israeliano, insomma, si è accorto che l’obiettivo non era raggiungibile, a meno di uccidere 70-100 persone al giorno, come stava accadendo, fino ad arrivare a 2 milioni, soluzione impraticabile perché avrebbe danneggiato non solo Israele ma anche gli USA.
Quindi cosa è successo?
Gli americani, per realismo politico, hanno fatto pressione su Netanyahu per porre fine alla guerra. Ora, però, c’è il rischio che i palestinesi, compresi i 2mila che sono stati scarcerati da Israele, molti dei quali torturati, alimentino sentimenti di vendetta. Gli accordi dicono che gli abitanti di Gaza sono liberi di entrare e di uscire dalla Striscia, ma non credo che avverrà, perché gli israeliani non si fidano di vedere gli appartenenti ad Hamas andare avanti e indietro dalla Cisgiordania e da Gaza, magari armati. Potrebbero nascere le prime turbolenze. E qualche false flag permetterebbe di dare la colpa ad Hamas per sostenere che gli accordi non valgono più e riprendere l’operazione precedente.
Quali sono gli altri punti da chiarire del piano Trump?
Bisogna chiedersi, per esempio, come vivranno i gazawi. Potrebbero puntare sull’industria della pesca, ma non possono farlo per i divieti israeliani. Nel mare davanti alla Striscia, poi, c’è il gas, e permettendo la pesca si legittimerebbe, come dovrebbe essere secondo il diritto internazionale, che quel mare appartiene alla Palestina. Poi c’è la questione iraniana.
C’è la possibilità di una nuova guerra all’Iran?

Israele ha sempre la “malattia permanente” di voler attaccare l’Iran. C’è una finestra di opportunità che si è aperta dopo la fine della guerra dei 12 giorni del giugno scorso e che si chiuderà tra qualche mese, alla fine dell’anno o a gennaio, dopodiché sarà molto più difficile aggredire l’Iran: Teheran si sta riarmando, sta rafforzando le difese antiaeree e antimissilistiche che erano state smantellate. Inoltre è possibile che, in seguito all’attacco condotto da Israele e USA, i 407 chilogrammi di uranio arricchito che l’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) ha certificato che l’Iran possiede, possano già essere usati per costruire almeno 7-8 ordigni nucleari. Essi, miniaturizzati, potrebbero diventare testate da montare su missili intercontinentali che l’Iran ha già dimostrato di poter far arrivare a bersaglio sul territorio israeliano.
Su quali basi è possibile ipotizzare uno scenario del genere?
Secondo alcune analisi di esperti americani l’Iran probabilmente è già una potenza nucleare non dichiarata. Una situazione pericolosa, perché in questo caso si correrebbe il rischio di agire con armi convenzionali contro una potenza nucleare in fieri o occulta che messa alle strette potrebbe reagire.
Secondo Middle East Eye, Netanyahu non è andato a Sharm el Sheikh nonostante l’invito di Trump perché alcuni leader arabi non lo volevano. Cosa è successo in realtà?
Gli Stati Uniti devono sempre fare gli interessi di Israele. Trump è stato votato ed eletto con i soldi degli ebrei, fondamentalmente dell’AIPAC, American Israeli Public Affairs Committee, organizzazione che raccoglie tutte le entità e le istituzioni che si muovono intorno agli interessi pro-Israele in America. Inoltre Trump è sotto ricatto per via degli Epstein files, una vicenda probabilmente messa in piedi dal Mossad per ricattare l’universo mondo. Nonostante questo, è riuscito a far valere anche i suoi interessi e la sua volontà di ottenere il Nobel per la pace agendo per ottenere il cessate il fuoco. In questo contesto, però, Netanyahu sa bene di essere considerato un nemico da oltre mezzo miliardo di persone che abitano in Medio Oriente, quell’opinione pubblica che sente fortemente la causa palestinese.
Per questo non l’hanno voluto a Sharm?
I governi dei Paesi dell’area sono ricattati dagli Stati Uniti, o troppo dipendenti da loro perché finanziariamente nei guai, come l’Egitto e la Giordania. Gli americani hanno interessi intrecciati con le monarchie del Golfo, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain, il Qatar, il Kuwait, anche se la situazione è instabile. I sauditi, ad esempio, non si fidano più dell’ombrello americano: gli USA non hanno protetto neanche il Qatar, dove hanno una base militare enorme, contro l’aggressione israeliana del 9 settembre. E allora Riyad ha fatto un accordo con il Pakistan, che è una potenza nucleare, concordando un accordo di difesa basato su un meccanismo simile a quello dell’articolo 5 della NATO: se uno dei due Paesi viene aggredito, l’altro ha l’obbligo di intervenire. Una novità incredibile. Questo perché i sauditi hanno capito che gli americani sono guidati dagli israeliani.
Tutto questo però cosa c’entra con il piano per Gaza e la sua applicazione?
Per capirlo bisogna mettere in fila anche altri elementi. L’Arabia Saudita teme di non essere protetta se dovesse succedere qualcosa, per esempio se Israele dovesse attaccare l’Iran trascinando con sé gli Stati Uniti. In quel caso il regime iraniano ha detto chiaramente che se il Paese venisse aggredito sarebbero colpite le basi militari americane e magari anche le installazioni petrolifere saudite. In ogni caso se l’Iran fosse messo alle strette, cioè distrutto nelle sue installazioni militari con migliaia di morti, magari nelle grandi città, in particolare Teheran, potrebbe ricorrere alla “bomba atomica economica”, la chiusura dello stretto di Hormuz, che naturalmente danneggerebbe gravemente l’economia mondiale. Certo, gli iraniani devono riflettere, perché danneggerebbe anche loro stessi, ma potrebbero arrivare anche a questa decisione.
Tutto questo potrebbe cambierebbe la situazione nella Strscia?
Gli israeliani sono indifferenti a tutte queste conseguenze, perché sono convinti di guidare gli USA. Potrebbero approfittare di una situazione del genere: mentre il mondo è distratto da quello che sta succedendo in Iran e nel Medio Oriente potrebbero procedere verso la direzione voluta, cioè eliminare i palestinesi dalla Striscia e invadere la Cisgiordania, creando il Grande Israele. E a quel punto potrebbero mettere le mani sul Sinai, su un pezzo di Giordania e su una parte del sud del Libano. Sarei felice di sbagliarmi, ma credo che questi siano elementi di riflessione da tenere in considerazione.
(Paolo Rossetti)
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