La tregua raggiunta a Gaza è fragilissima e risente dei molti interessi, spesso contrastanti, degli Stati mediorientali, a cominciare da Turchia e Israele
C’è addirittura chi cinicamente scommette sulla tregua a Gaza: durerà? quanto durerà? E potrà mai essere una premessa per la pace, su cui si è firmato a Sharm el-Sheikh in Egitto un accordo il 13 ottobre scorso, esattamente una settimana fa?
L’obiettivo dichiarato e sottoscritto è quello di mettere fine alla guerra di Gaza, avviando così una nuova fase di stabilità nel Medio Oriente che è letteralmente in subbuglio da un secolo, con il concorso degli ex colonizzatori che per anni si sono limitati a predicare l’avvento di una democrazia astratta e sconosciuta in quei luoghi.
Torniamo a Sharm el-Sheikh. Il testo dell’accordo firmato si apre con un’enfasi, probabilmente doverosa dopo anni di guerra, di attentati, di imboscate, di promesse mancate. Ecco le prime parole: “Noi sottoscritti accogliamo con favore l’impegno e l’attuazione davvero storici da parte di tutte le parti dell’accordo di pace di Trump…”. E poi le firme alla fine del documento sono tutte “pesanti”: Donald Trump, al Sisi, Tamim Al Thani e infine l’erede del vecchio Impero ottomano, il turco Recep Tayyip Erdogan.
È inevitabile chiedersi che cosa sia successo all’improvviso, come sia possibile ricomporre un ordine in una terra che è sempre stata squassata da fermenti e conflitti bellici, con odi reciproci che si sono sedimentati sin dal 1917 con la dichiarazione del ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour, durante la prima guerra mondiale.
Con quella dichiarazione, il governo britannico esprimeva il suo sostegno alla creazione di un “focolare nazionale” per il popolo ebraico in Palestina, all’epoca parte dell’Impero ottomano.
Ma facciamo ora i conti seriamente con questa tregua, che parte da quel cosiddetto “focolare nazionale”, si espande in seguito con l’arrivo dei coloni, entra in conflitto con gli inglesi e poi si arriva alle dichiarazioni dell’ONU che, già negli anni quaranta del Novecento, rivela tutta la sua inconsistenza.

L’ONU fa una prima dichiarazione, la 181 del 1947 (approvata ma non attuata) che prevedeva la spartizione del territorio. Poi c’è la risoluzione 194 del 1948 che stabiliva il ritorno per i rifugiati palestinesi. La dichiarazione di indipendenza israeliana avvenne il 14 maggio 1948 con la proclamazione dello Stato di Israele, che fu seguita immediatamente dalla guerra arabo-israeliana.
Queste date e queste risoluzioni danno soltanto un’idea di quanti interessi sconosciuti ci siano dietro a una simile sequenza tra guerre mondiali, “ritorni alla terra promessa”, nuovi interessi coloniali in un’area che era stata per tanto tempo controllata dall’Impero ottomano andato in disfacimento.
Ci si stupisce, a questo punto, che la tregua sia legata a un filo, nonostante le “firme pesanti” che hanno siglato l’accordo di Sharm el-Sheikh? Come potrebbe essere altrimenti dopo la politica occidentale di tutti questi anni?
Nel Medio Oriente ci sono gli interessi di ex Stati coloniali che oggi devono far i conti con le nuove ricchezze di Stati arabi emergenti. C’è sempre l’interesse di un controllo sul Mediterraneo dell’Est e quindi la spinta a mettere le basi in doppi e tripli giochi.
Quali veri interessi ha la Turchia, che sembra voler ritornare una nazione leader nel Medio Oriente e nello stesso tempo è una delle nazioni più armate della più grande alleanza militare occidentale, cioè della NATO? Quali precisi motivi spingono l’Arabia Saudita a occidentalizzarsi in molti atteggiamenti e a schierarsi contro l’Iran, il nemico principale di Israele? E Quale gioco fa il Qatar?
Questo groviglio di interessi è il retroterra di ottanta anni di guerre e di odio tra arabi e israeliani. Una pace che viene interrotta da cruente azioni del governo di destra israeliano e dal terrorismo endemico di molti movimenti palestinesi fa, paradossalmente, quasi comodo a chi impone la tregua in Medio Oriente.
Questi portatori di pace vogliono una “tregua a singhiozzo” o un’autentica pace? Forse una tregua che ogni tanto va in crisi conviene di più ai nuovi ricchi del Medio Oriente, occidentali e arabi, che devono ricostruire, fare affari e ristabilire l’ordine mondiale. Noi speriamo nella tregua lunga e poi nella pace. Ma qualche sospetto che qualcuno giochi con la “tregua a singhiozzo” ce l’abbiamo.
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