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Home » Esteri » Gran Bretagna » CRISI UK/ “Pressione fiscale al 38%, la classe media paga la manovra di Starmer e sceglie Farage”

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CRISI UK/ “Pressione fiscale al 38%, la classe media paga la manovra di Starmer e sceglie Farage”

Int. Marco Varvello
Pubblicato 29 Novembre 2025
Starmer, Regno Unito

Keir Starmer mentre presiede una riunione di governo a Downing Street (Ansa)

In UK Nigel Farage sale nei sondaggi anche grazie agli errori di Starmer. La legge di bilancio dei laburisti grava tutta sulle tasche del ceto medio

Nel Regno Unito la luna di miele del governo Starmer è durata poco. A poco più di un anno dalla travolgente vittoria del 2024, i laburisti devono fare i conti con un rallentamento dell’economia, tensioni interne e un calo nei sondaggi che sorprende gli stessi osservatori britannici. Intanto il Reform UK di Nigel Farage avanza, nonostante la Brexit – suo cavallo di battaglia – venga oggi considerata da una larga maggioranza di analisti come un boomerang economico.


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“Il piatto piange, e qui non si vedeva una pressione fiscale così alta dagli anni Settanta”, osserva Marco Varvello, storico corrispondente RAI da Londra. Con lui proviamo a capire perché il governo Starmer, nato per “voltare pagina”, sta incontrando così tante difficoltà in così poco tempo.

Marco Varvello, partiamo da qui: qual è oggi lo stato di salute del governo Starmer?


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Ha superato il passaggio più delicato, il budget d’autunno, che era il vero scoglio politico. Rachel Reeves aveva ventilato un aumento delle aliquote sul reddito e questo aveva scatenato una ribellione sotterranea nel gruppo parlamentare. Alla fine sono tornati indietro, ma la sostanza non cambia: le tasse sono aumentate, solo che sono state “spalmate” su molte misure diverse. Il risultato? Una manovra che definirei di sinistra – perché non taglia la spesa sociale –, ma che finisce sulle spalle della classe media. Qui i “ricchi”, tra virgolette, sono soprattutto loro.

Quando dice “il piatto piange”, cosa intende esattamente?


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Che lo spazio di manovra è limitatissimo. Con questa legge di bilancio si mettono insieme 26 miliardi di sterline, che vanno aggiunti ai 40 raccolti nella prima manovra laburista. Sono cifre che non si vedevano dagli anni Settanta: pressione fiscale al 38% della ricchezza nazionale, un record storico. E questo mentre l’economia rallenta: è un mix politicamente pericoloso.

In altre parole, la manovra ricompatta la sinistra ma logora l’elettorato moderato? È corretto?

È così. L’ala sinistra è soddisfatta perché non si taglia la spesa sociale: rimangono i benefit oltre il secondo figlio, aumentano pensioni e salario minimo. Ma la classe media paga il conto. Ed è una fascia enorme dell’elettorato britannico. Per questo nei sondaggi il Labour scende: non c’è un crollo, ma una tendenza sì.

I sindacati però sono furiosi sul tema dei contratti. Perché tornare al periodo di prova di tre mesi?

È stato un errore di comunicazione, prima ancora che politico. L’anno scorso avevano promesso tutele sindacali dal primo giorno. Adesso si torna al regime precedente. I sindacati l’hanno vista come una marcia indietro non giustificata. Il governo sostiene che serva “flessibilità” in un mercato del lavoro complicato. Ma resta una contraddizione con le promesse elettorali.

Passiamo alla politica estera. Il governo parla di riavvicinamento all’UE. È un cambiamento reale?

Nigel Farage, leader di Reform-UK (Ansa)

Sì, ma molto prudente. Brexit è stata un danno evidente – lo dicono i numeri – e Starmer lo ha ammesso di fatto. Ci sono due direzioni: economica e militare. Sul piano economico stanno lavorando per abolire i visti di studio e lavoro per gli under 30 europei, anche se la promessa “entro l’anno” non verrà mantenuta. Sul piano militare il Regno Unito vuole partecipare al fondo europeo per gli armamenti: con la Russia che incombe, la cooperazione è inevitabile.

Sul fronte ucraino, invece, non ci sono differenze?

Nessuna. La linea è identica a quella dei conservatori. C’è una continuità storica: gli accordi di assistenza militare con Kiev risalgono al 2015, dopo l’annessione della Crimea. Il sostegno è trasversale, da destra a sinistra.

Torniamo alla politica interna: come si spiega la crescita del Reform UK di Farage? È davvero così popolare?

Incredibilmente sì. Ed è paradossale: il paladino della Brexit avanza proprio mentre la Brexit viene considerata un grande errore. Questo dimostra la forza del populismo. Nigel Farage cavalca un cavallo che qui è sempre vincente: l’immigrazione. È la sua specialità, e il pubblico lo sa. A questo si aggiunge la mediocrità – lasciatemelo dire – dimostrata da parte della nuova classe politica laburista: è terreno fertile per chi vuole intercettare malessere e frustrazione.

Cosa intende quando parla di “mediocrità”?

Molte figure chiave del governo sembrano inesperte, impacciate nella gestione delle crisi, lente nel comunicare. E questo contrasta con le altissime aspettative della vittoria del 2024. Quando deludi così presto, lasci spazio agli avversari.

Il tema immigrazione è davvero così decisivo?

Assolutamente sì. Basta guardare un dato quasi ignorato nel dibattito: Brexit doveva ridurre l’immigrazione. Invece, tre anni dopo, abbiamo avuto quasi un milione di nuovi residenti in un solo anno. Adesso, grazie alle misure del governo – un governo di sinistra, attenzione – il saldo netto è sceso a circa 205mila. Il freno lo sta mettendo Starmer, non la destra. Ma la percezione pubblica resta che sia un tema “di destra”, e questo gioca a favore di Farage.

In altre parole, secondo lei Starmer sta inseguendo la destra? È corretto?

Nei fatti sì. Per evitare che l’immigrazione diventi un assist perfetto per Farage alle prossime elezioni, che saranno tra tre anni se tutto va bene. Il governo laburista sta adottando politiche restrittive, ma cerca di raccontarle come misure “di buon senso”. È un equilibrio complicato: se sei troppo morbido, perdi voti a destra; se sei troppo duro, ne perdi a sinistra. E il Labour è sempre stato un partito diviso su questi temi.

(Max Ferrario)

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