Alzheimer nelle RSA: la Cassazione dà indicazioni per le rette. Il Governo stanzia soldi in finanziaria, senza chiarire i criteri per affrontare il problema
In un precedente contributo su queste colonne avevo presentato lo spinoso caso dei ricoveri per Alzheimer nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), spinoso perché alcune sentenze della magistratura (anche di Cassazione) sono intervenute a dare indicazioni relativamente al soggetto a cui compete l’onere di pagare le giornate di permanenza nelle strutture, un onere non irrilevante perché si tratta di alcune migliaia di euro ogni mese per ogni soggetto ricoverato. E siccome quando si parla di soldi da versare c’è sempre qualcuno da una parte che intravvede il pericolo e qualcun altro dall’altra che fiuta invece l’affare era sembrato utile mettere sul tavolo i termini della questione, che in estrema sintesi sono i seguenti.
Nel caso della assistenza sociosanitaria (capo IV del Dpcm 12.1.2017) erogata in RSA per alcune patologie è prevista da parte del cittadino una compartecipazione alla spesa nella quota del 50% della retta di degenza (l’altro 50% è a carico del SSN), a meno che l’insieme congiunto delle prestazioni erogate possa essere considerato un intervento di tipo sanitario, nel qual caso la degenza va considerata a totale carico del SSN senza compartecipazione da parte del cittadino.
In generale il discrimine tra la prestazione gratuita e quella compartecipata non risiede nella quantità di prestazioni sanitarie erogate rispetto a quelle assistenziali bensì nella connessione tra i due tipi di cure che fa in modo che esse non possano essere erogate separatamente. Purtroppo, però, il Dpcm Lea non elenca le patologie che rientrano nella prima categoria o nella seconda, ed è qui che si innesta il problema dei pazienti affetti da malattia di Alzheimer (ma anche da altre neuropatie) perché le citate sentenze, sempre su casi individuali e non sul problema generale, hanno risolto il contenzioso a favore del cittadino stabilendo che si tratta di cure sanitarie continuative e che pertanto devono essere pagate totalmente dal servizio sanitario.
Come conseguenza di queste singole sentenze da una parte sono emerse le preoccupazioni economiche di molti direttori di ASL (vista la numerosità dei soggetti potenzialmente interessati) e dall’altra si sono subito materializzate alcune proposte di studi legali pronti a farsi carico (con pacchetti completi e formalizzati già presenti in internet) dell’eventuale contenzioso legale.
Si era concluso il contributo evidenziando la natura evidentemente politica (di politica sanitaria) del problema con la speranza di una soluzione in tempi brevi. Ed un primo tentativo di soluzione è proprio di questi giorni.
Ne abbiamo notizia attraverso le attività della XII Commissione permanente della Camera dei Deputati, quella che si occupa di affari sociali, perché nella seduta di mercoledì 26 novembre 2025 ha affrontato il problema a seguito di una interrogazione a risposta immediata formulata dal deputato Gian Antonio Girelli (PD-IDP) dal titolo “Applicazione uniforme dei livelli essenziali di assistenza nelle residenze sanitarie assistenziali” a cui ha risposto il sottosegretario alla salute Marcello Gemmato.

Dal testo scritto della risposta del sottosegretario si apprende che nel disegno di legge di bilancio per il 2026 il Governo ha previsto un importo di 100 milioni di euro annui da destinare alle regioni a partire dal 2026 per “la copertura delle spese socioassistenziali strumentali a quelle sanitarie per gli assistiti malati di Alzheimer e di altre patologie di demenza senile”. Questo finanziamento è stato stabilito proprio per far fronte alle conseguenze delle citate sentenze, ed in particolare di quelle della Cassazione.
Il sottosegretario ha innanzitutto ricordato sul punto la ratio alla base del Dpcm sui Lea per distinguere, nel caso delle RSA, tra trattamenti a totale carico del SSN e trattamenti a carico del SSN solo per una quota (50%), secondo la quale affinchè avvenga la totale copertura economica da parte del SSN è necessario che in ragione dell’intensità del bisogno clinico “la componente sanitaria non possa essere fornita al di fuori del regime residenziale”. Successivamente, prendendo spunto dalle indicazioni contenute nelle sentenze della Corte di Cassazione, ha chiarito che non si tratta di adottare un automatismo al fine di ricondurre a carico del SSN le prestazioni residenziali erogate ma deve essere condotta una valutazione caso per caso.
Problema risolto, quindi? Beh, risolto è una parola grossa ma certamente è stato compiuto un passo importante perché sono state messe a disposizione delle risorse (anche se la mancanza di numeri certi sulla dimensione del problema non permette di valutare se tali risorse siano o meno adeguate).
Rimandando però la soluzione a una decisione caso per caso è evidente che non si è voluto intervenire in maniera complessiva sul problema, sia specificando meglio le patologie interessate dal provvedimento (si parla di Alzheimer e, genericamente, di “altre patologie di demenza senile”), sia precisando come si caratterizza il criterio del “nesso di strumentalità necessaria”, cioè il criterio che stabilisce “quando le prestazioni sanitarie non possono essere eseguite se non congiuntamente all’attività di natura socioassistenziale”: si deve infatti ricordare che proprio sulla valutazione di questo nesso la giurisprudenza aveva emesso sentenze discordanti.
Inoltre lasciare la soluzione al caso per caso è di sicuro la maniera più semplice per non affrontare il tema della limitazione del contenzioso perché in questo modo solo al termine del procedimento giudiziario si potrà sapere su chi deve ricadere l’onere del pagamento del ricovero.
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