Foscolo vale più di una guida

Oltre ai classici luoghi di villeggiatura, le vacanze sono anche l’occasione per visitare luoghi artistici. Foscolo ci aiuta a farlo al meglio

Oltre ai classici luoghi di villeggiatura – il mare e i monti – di cui abbiamo trattato negli ultimi editoriali, le vacanze sono anche l’occasione per visitare luoghi artistici. L’Italia ne è così piena che c’è solo l’imbarazzo della scelta; dalle affollatissime Roma Firenze Venezia alle più piccole borgate delle colline umbre o dell’entroterra siciliano.

Basta avere una buona guida turistica e si scoprono gioielli incredibili: l’eremo nascosto negli anfratti di una valle o il ciclo di affreschi in una chiesa di campagna; un tempietto romano o i resti di un acquedotto imperiale; il piccolo museo di provincia che custodisce un capolavoro o lo splendore di una basilica romanica in riva al mare. Ma le guide non bastano.

Anche a prescindere dalle cattive interpretazioni che a volte contengono, il fatto è che nella quasi totalità offrono soltanto asettiche informazioni tecniche. Così non si fa vacanza, cioè non si sgomberano il cuore e la mente delle preoccupazioni di tutti i giorni, ma si accumulano su di esse nuove cianfrusaglie artistiche, che verranno subito dimenticate non appena tornati alla vita normale.

Per gustare davvero delle bellezze artistiche ci vuole una specifica predisposizione d’animo. Bisogna desiderare di essere colpiti, di lasciarsi coinvolgere. Non si tratta di aggiungere una bandierina sulla cartina dei luoghi visitati o una tacca sul proprio fucile da turista, tanto per poter rispondere di sì a chi ti chiedesse: «Hai visto la cattedrale di Gerace?».

Non trovo nessuna poesia più efficace per esprimere quello che intendo dire dei Sepolcri di Ugo Foscolo. Il poeta non si sta affatto occupando di vacanze; il suo problema è che cosa l’uomo lascia dietro di sé, quale impronta una persona incide nello scorrere della storia in modo così potente che chi viene dopo di lei possa confrontarvisi, trovare un suggerimento per sé, imparare.

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E se non è per questo, per quale ragione dovemmo contemplare le vestigia di bellezza che i nostri avi ci hanno lasciato? A un certo punto del suo carme, Foscolo sembra credere che la memoria del passato è conservata nelle tombe dei grandi; sono loro, le «urne dei forti» che possono incendiare di passione l’animo di chi le osserva.

 

A patto che questo animo sia anch’esso «forte», cioè almeno desideroso di cose grandi. Traslando il pensiero foscoliano al caso del turista che va a vedere una cosa bella, l’atteggiamento giusto mi sembra perfettamente descritto:

 

A egregie cose il forte animo accendono

l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella

e santa fanno al peregrin la terra

che le ricetta.

 

È proprio una terra santa quella che accoglie una scintilla di bellezza e come tale va guardata: non con la frettolosa voracità di chi aspetta solo di passare ad altro, ma con la calma disponibilità di chi aspetta che si compia il miracolo di una scoperta.

 

Per questo Foscolo, visitando Santa Croce a Firenze, dove ci sono le tombe dei grandi, può uscirsene in un esaltante encomio alla città: Te beata, gridai. Beata perché hai visto passeggiare per le tue strade il pensoso Dante e il dolce Petrarca. Ma più beata perché in un tempio accolte / serbi l’itale glorie. Conservi quello che la patria non ha perso: la memoria.

 

Visitare un luogo d’arte è un esercizio di memoria. Memoria del nostro desiderio del bello e memoria dell’approssimativa ma reale incarnazione che di quel bello gli uomini che ci hanno preceduto ci hanno consegnato.

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