Scuola, contro lo statalismo

Il Ministero dell’Istruzione si prepara a dare il via a una riforma nei criteri per ottenere l’abilitazione all’insegnamento che ha tutto il sapore di un provvedimento statalista

Ridurre il perimetro dello Stato, la sua pervasività, arginare la sua tendenza a caratterizzarsi come soggetto non che riconosce i diritti dei cittadini, ma che li genera, è lo scopo di una politica che attinge a piene mani a una visione che ha come riferimento la centralità della persona e l’economia sociale di mercato. Non basta cioè contenere la spesa pubblica: bisogna cambiare la logica della spesa pubblica e quindi la logica dell’organizzazione dello Stato e dei servizi pubblici da esso riconosciuti e sostenuti. Se non si metterà mano al provvedimento che sta per essere varato, che di fatto blocca l’accesso all’insegnamento per tutti i giovani insegnanti, la scuola italiana verrà incanalata in una gravissima deriva illiberale e statalista che sconfesserà in un solo colpo tutte le azioni del Governo verso una maggiore libertà dei cittadini. 


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Se n’è parlato molto nell’ultimo periodo, soprattutto su Ilsussidiario.net, di TFA (Tirocinio Formativo Attivo): un master di 60 crediti che serve per ottenere l’abilitazione all’insegnamento. Il TFA rappresenta una nuova impostazione rispetto alle vecchie scuole di specializzazione per l’insegnamento, volute da Berlinguer, dalle quali si accedeva direttamente alle graduatorie e poi subito al lavoro, senza una valutazione e senza possibilità di scelta da parte delle scuole. Una sorta di albo professionale, ma strettamente controllato dai sindacati e dallo Stato. Quindi un bacino da cui si entrava in maniera rigida in una graduatoria con punteggi accumulati. Il TFA, invece, rilascia soltanto l’abilitazione a fare il mestiere dell’insegnante, non dà direttamente un posto di lavoro.


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Il tentativo che sta facendo adesso il Ministero è paradossalmente quello di impedire che si avvii l’iter per assumere insegnanti con il nuovo sistema (che è molto più liberale del precedente), precludendo di fatto la strada alla abilitazione dei giovani – quelli laureati dopo il 2008 e quelli che conseguiranno la laurea nei prossimi cinque-sette anni – contingentando in maniera drastica e inaccettabile, sulla base di calcoli assai discutibili, i posti per loro disponibili nei suddetti TFA. Il Ministero vorrebbe cioè procedere esclusivamente alle immissioni in ruolo dalle graduatorie. Gli insegnanti che entreranno in ruolo nei prossimi anni, anche qualora non avessero le qualità per farlo, diventeranno “professori” solo per un diritto acquisito in forza di un meccanismo controllato dallo Stato e dai sindacati.


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Inevitabile conseguenza di questo contingentamento dei numeri sarà quella di negare ad almeno tre generazioni di giovani la possibilità di insegnare. Non consentire ai 20-30 mila laureati dal 2008 in poi di accedere all’abilitazione, significherà per loro l’impossibilità di continuare o di incominciare ad insegnare.

È inoltre chiarissimo, oltre che inquietante, che attraverso un simile contingentamento dei posti per il TFA, si verificherà una ulteriore gravissima conseguenza sulle scuole paritarie: le competenze dei singoli e dei corpi sociali intermedi verranno di fatto gestite dallo Stato. E ciò costituisce una chiara discriminazione, oltre che un modo per controllare quei pezzi di società che promuovono la scuola paritaria. Così salta tutto: non esisterà più libertà di scelta, gli insegnanti saranno massificati e controllati interamente dallo Stato. Tutt’altro rispetto alle scelte liberali di principio fatte da questa compagine governativa, non solo in materia di scuola, ma anche per tutto il resto.


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Si tratta quindi di un doppio colpo per il nostro Paese, per i giovani e per la scuola nel complesso: con il meccanismo attuale entrerà in ruolo soltanto gente che ha più di 40 anni. Se il ministro Gelmini vuole lasciare un’impronta innovativa e di sviluppo circa il futuro della scuola italiana deve liberalizzare il più possibile questi accessi di abilitazione al lavoro, consentendo così ai giovani di giocare la loro partita. Una scuola che voglia essere davvero libera e al passo con i grandi modelli di istruzione europei non può permettersi un sistema di reclutamento degli insegnanti centralistico e ingessato: occorre introdurre una valutazione in base al merito e in base alle esigenze di ogni singolo istituto. Oggi entra in ruolo chi capita senza alcun criterio di scelta. Servirebbe invece una platea di abilitati tra i quali la scuola deve poter scegliere in base al merito e al proprio progetto educativo.


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