Prima emarginati poi liquidati
Ci sono due aspetti coessenziali della libertà religiosa. La libertà di professare la propria fede. Il secondo aspetto è la libertà per partecipare alla vita pubblica

Ci sono due aspetti coessenziali della libertà religiosa. La libertà di professare la propria fede: in privato e in pubblico, personalmente e comunitariamente; e di assumere senza costrizioni e senza impedimenti le scelte di vita che la propria fede suggerisce, fosse anche quella di abbandonare una fede per confessarne un’altra. Il secondo aspetto è la libertà per partecipare alla vita pubblica, per contribuire al bene di tutti: la fede, le fedi, devono poter esprimere il proprio contributo alla casa comune, all’ordine del mondo. L’uno e l’altro aspetto sono alla base della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Essa garantisce senza ombre e senza equivoci il primo aspetto, ma è interessante notare come il testo stesso della Dichiarazione sia il frutto del secondo aspetto, come magistralmente raccontato da Mary Ann Glendon nel libro “Verso un mondo nuovo”.
Diritto fondamentale significa che la libertà religiosa va riconosciuta e non erogata. Nessuno si può riservare il diritto di elargirla, appartiene al cuore stesso dell’uomo. Comprimerla o peggio negarla è voler snaturare ciò che è proprio dell’uomo e lo rende unico e irripetibile. La coscienza contemporanea è arrivata a questa consapevolezza dopo un lungo cammino, a volte tragico e tormentato. Ma da qui non si torna indietro, chiunque voglia pensare la libertà religiosa non può che proseguire in avanti. “Il cuore di ogni cultura – affermava Giovanni Paolo II all’Onu nel 1995 – è costituito dal suo approccio al più grande dei misteri: il mistero di Dio. Pertanto il nostro rispetto per la cultura degli altri è radicato nel nostro rispetto per il tentativo che ogni comunità compie per dare risposta al problema della vita umana”.
Perché oggi sentiamo così urgente il tema della libertà religiosa e perché lo viviamo così intimamente connesso con l’“emergenza uomo”? Perché la teoria non basta a liberare la libertà religiosa dalle minacce, dalle discriminazioni, dalla violenza, dall’odio. Si può sbandierare il principio della libertà religiosa e nello stesso tempo annientare l’uomo – l’uomo concreto: persino il vicino di casa o il vecchio compagno di scuola – che vive liberamente la fede o desidera farlo. Non è quel che ci raccontano tante cronache del mondo in cui viviamo?
In alcune situazioni è lo stesso principio teorico che viene negato: ci sono ordinamenti culturali e statuali per i quali semplicemente non si può. Dio diventa una maschera, un mito portatore di morte e l’affermazione della Verità la terrificante lama che cala sul collo. Per superare queste situazioni realmente primordiali e barbariche il cammino resta lungo, forse lunghissimo. In altri scenari si nega non il diritto ma l’azione umana, l’iniziativa culturale e sociale che da esso scaturisce o ancora le implicazioni vitali che ne fioriscono. In certi organismi internazionali, in certe corti, in certi parlamenti agiscono numerosi i killer della libertà religiosa per,come ben sappiamo dalle nostre parti.
In questo tempo sono soprattutto i cristiani a pagare il prezzo della negazione della libertà diprofessare la fede. Al punto che ci sono forze, in Egitto come in Pakistan, in Iraq come in Nigeria, che vorrebbero letteralmente estirparli. C’è chi fa esplodere le chiese e chi crea ostilità sociale. Lo scopo è lo stesso: dichiarare i cristiani estranei per poterli poi liquidare come estranei. L’appello che abbiamo lanciato in questi giorni dal Meeting esprime l’abbraccio a chi tanto sta soffrendo e l’impegno per difendere le loro vite e il loro diritto: la libertà religiosa si vive con gli altri.
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