Ordinaria follia o compagnie di persone

- Giorgio Vittadini

Si coltivano relazioni profonde solo uscendo, stringendo mani, incontrandosi fisicamente, non attraverso i social network e la Rete

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LaPresse

Cosa c’entra la crescita di atti di violenza senza ragione, malessere e non senso nelle società del mondo sviluppato con la crisi dei corpi intermedi, dei movimenti, delle associazioni, delle compagnie e aggregazioni libere di persone? Apparentemente nulla. I corpi intermedi sembrano irrimediabilmente in crisi per due ragioni. La prima è legata a quel crollo planetario della fiducia che stiamo vivendo. Fiducia tra Paesi, tra cittadini di diversa estrazione, tra cittadini e istituzioni, tra le singole persone e le loro aggregazioni. L’uomo contemporaneo è ormai da tempo avviato a vivere le dimensioni globali e “liquide” della società, così ben descritto dal grande sociologo polacco Zigmunt Bauman. Tutto questo ha portato a pensare che ogni forma di realtà organizzata sia portatrice di interessi particolari contrari al bene comune e quindi vada vista con sospetto: sulla scena rimangono solo l’individuo e lo Stato. Come spiega Giulio Sapelli: “il pericolo che il tardo capitalismo vede in queste forme intermedie è tremendo ed è potentissimo”. Infatti, finché il capitalismo è stato industriale ha avuto bisogno di una mediazione tra l’individuo singolo e la produzione, come ad esempio l’organizzazione sindacale. Questo è cambiato con l’avvento del tardo capitalismo, quello finanziario, che vede nella società intermedia un ostacolo all’immediatezza della transazione economica.

Poi c’è una seconda ragione che ha accelerato drasticamente il processo di disintermediazione: l’accesso alla Rete globale che ha allentato i legami, al punto, come abbiamo visto, di aver fatto pensare a molti che questa sia l’epoca di società costituite da monadi, ognuna con i suoi bisogni e desideri specifici che contrastano con quelli degli altri.

In questa linea Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, un anno fa ha postato un lungo “manifesto” in cui loda le comunità come le conosciamo (come piazza, sport, chiesa), ma sottolinea che esse sono in declino, insieme alla fiducia e alla speranza, e che per preservarle occorre riallacciare le loro “connessioni” attraverso i social network. Questi, secondo Mr. Facebook, non alieneranno le persone, ma anzi avranno un effetto positivo, rafforzando il tessuto sociale. C’è chi parla dei social media addirittura come di “nuovi corpi intermedi”, sottolineando il valore della dimensione anche fisica, non solo virtuale del fenomeno. Si tratterebbe di forme di aggregazione più informali e fluide, con obiettivi più specifici e senza gerarchie fisse, ma comunque di ambiti di rapporto, di spazi di socialità.

Eppure nemmeno queste nuove forme di aggregazione stanno riuscendo a contenere la crisi di fiducia che sta minando non solo i corpi intermedi, ma la vita sociale tout court. Lo sbandamento attuale tocca le fondamenta dell’esistenza perché riguarda la possibilità di compiere un percorso di crescita e di soddisfazione in famiglia, nel lavoro, nella quotidianità. Sembra diventato impossibile pensare che le persone possano essere determinate da un’irrinunciabile capacità di bene, di costruzione, di positività. I corpi intermedi non sono in crisi perché sono diventati superflui, ma perché, isolandosi, le persone hanno perso la consapevolezza del loro bisogno di relazioni.

E non appare allora strano che, in un giorno di ordinaria follia, sia essa in famiglia, in una scuola, in un bar, in un posto pubblico, qualcuno che ha vissuto per anni, solo con il suo disagio e rancore, sfoghi tutta la sua aggressività repressa. E in questi casi si scopre quanto sia precaria l’amicizia tramite internet: si coltivano relazioni profonde solo uscendo, stringendo mani, incontrandosi fisicamente, guardandosi in faccia, condividendo cose importanti. Non basta rimbalzarsi tra un whatsapp e un twitter, affidare a un sito web le proprie opinioni su tutto e il suo contrario. Quando la vita mostra il suo volto più impegnativo si capisce che nessuno strumento elettronico può sostituire relazioni stabili e fisiche, in contesti locali e globali, sia nella vita personale che in quella sociale. Come ha efficacemente sottolineato ancora Sapelli, “la partecipazione alla società intermedia ha educato milioni di persone nel mondo, attraverso un orientamento all’azione e al pensiero concreto e non astratto, attraverso la pratica sociale. La partecipazione alla vita della comunità e della società intermedia è stato un processo educativo che ha risollevato le plebi di tutto il mondo”.

Perciò, se non si vuole diventare falene notturne in balia di potere, violenza e caso, occorre superare sia la tentazione dell’individualismo di fronte allo Stato che quella di concepire il corpo intermedio come corporazione di interessi e principi particolari e lontani dall’esperienza reale, dal desiderio non ridotto, dalla ricerca del bene comune. Occorre ripartire umili, nella vita familiare e sociale, in politica, in economia, dalle domande sul senso della vita perché ispirino la quotidianità: se si sta da soli diventa amara utopia trovare risposte nella realtà. E anche continuare a cercarle.

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