840 anni fa, all’incirca, nasceva Francesco d’Assisi. La portata storica della sua persona non sarà mai sottolineata abbastanza. Il tempo di Francesco era un tempo di profonda crisi per la Chiesa. Le stesse riforme illuminate di Cluny e di Citeaux rischiavano di essere travolte da un malcostume dilagante del clero che allontanava sempre di più gli uomini dalla fede. Politicamente anche l’impero si accingeva ad attraversare i suoi ultimi cinquant’anni di vita e la funzione storica delle istituzioni universali si andava lentamente spegnendo.
In quest’orizzonte non erano pochi i movimenti popolari che si strutturavano e che, un po’ intellettualmente, chiedevano a gran voce un ritorno alle origini. Nei momenti di maggiore difficoltà ogni istituzione politica o spirituale crede di potersi rigenerare in un mitico “ritorno alle origini”. Albigesi e catari, in particolare, contestavano apertamente la forma che aveva assunto la Chiesa e premevano per riforme radicali che riportassero le lancette della storia indietro di mille anni. Francesco d’Assisi era completamente diverso: egli non perseguiva un passato da riconquistare, né si lasciava trasportare in un futuro distopico in cui le cose sarebbero state “come dovevano veramente essere”.
Passato e futuro, quello che siamo stati e quello che dovremmo diventare, rappresentano sempre un ricatto violento per qualunque esperienza umana, dal matrimonio al rapporto con i figli, dal lavoro all’amicizia. E questo è vero anche quando ci si riferisce alla vita delle comunità politiche, religiose o carismatiche: tutto si trasforma in un latente moralismo che pretende di poter rimodellare ciò che c’è in forza di un’idea, di un giudizio o di una nostalgia. Il poverello di Assisi fece una vera e propria rivoluzione perché scelse il presente, scelse di abitare e di stare nel presente. È nel presente, infatti, che egli sperimentava la forza e la potenza di Cristo. Per Lui Cristo era Qualcosa di presente, Qualcosa di così grande e imponente che nient’altro sembrava poter aver valore o significato se paragonato alla forza e all’attrattiva di quella presenza.
La povertà non fu per Francesco l’esito di un progetto politico o di uno sforzo morale, ma fu un giudizio sul presente: tutto si poteva lasciare, tutto si poteva abbandonare, perché c’era già – dentro al reale – ciò di cui c’era bisogno. È la presenza di un Bene, dell’Amato o dell’Amore, che ci libera da ogni cosa risulti inutile o superflua: la povertà nasce sempre dalla sovrabbondanza di Qualcosa che c’è, mai da una deliberazione morale. È questo che riforma la storia e che riforma la vita: la scoperta di un bene per cui si può davvero lasciare tutto, anche i comportamenti di sempre, anche le idee di ieri.
Francesco non cercò di rianimare il cristianesimo, ma seguì Cristo nella novità della storia che in quel momento accadeva. La rivoluzione francescana, che davvero cambiò il corso degli eventi in quello scorcio di medioevo, non si organizzò come si organizza la ristrutturazione di una casa o di una strada: essa accadde anzitutto nel cuore di Francesco, che si lasciò cambiare da ciò che riconosceva come vivo nella propria vita. L’unico spazio dove due persone sposate si possono amare è oggi, l’unico tempo dove una comunità può ripartire è oggi, l’unico frangente in cui possiamo recuperare ciò che si è rotto è oggi. Non c’è guida illuminata o leader politico che possano sostituire l’impeto di una novità che viene dal cuore e nessuna legge potrà mai ordinare questo sussulto di vita: chi ci provasse otterrebbe solo una bieca sensazione di violenza che allontanerebbe ancor di più gli uomini e le donne che davvero desiderano cambiare.
Francesco d’Assisi sconcertò il suo tempo con quest’ostinato attaccamento al presente, all’oggi di Dio che che chiama e che converte. Fu un rivoluzionario perché convinto che solo Cristo bastasse alla vita. Questa chiarezza di giudizio e di posizione umana, in fondo, è ciò che separa un cristianesimo morente da un’esperienza viva. Un’esperienza capace di aprire strade e percorsi fino a ieri impensabili. Consapevoli che la rivoluzione, quella vera, inizia sempre dentro di noi e si decide ogni mattina. Nel modo in cui ognuno di noi apre gli occhi alla giornata. Alla vita, a Qualcuno che – nonostante noi ci dimeniamo – non ci perde mai di vista.
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