Quell’energia chiamata risparmio
Le famiglie e le piccole imprese italiane continuano a tenere nei conti bancari e postali risparmi per circa 1.800 miliardi di euro senza investirli

Il sistema-Italia è alla ricerca affannata di fonti d’energia alternative al gas e al petrolio russo, ma continua a star seduto su un gigantesco stock di risparmio. Per tre giorni, i 400 speaker alternatisi fra gli stand del Salone di Risparmio di Milano vi hanno declinato attorno ogni parola-chiave vecchia o nuova, ma per incappare tutti – inesorabilmente – in una sola cifra, la più grezza e significativa: i 1.800 miliardi che le famiglie e le piccole imprese italiane continuano a tenere nei materassi virtuali che sono i conti bancari e postali. Senza investirli. Senza affidarli ad alcun intermediario.
Ma se il valore dei giacimenti o depositi di petrolio e gas negli ultimi mesi è aumentato a cadenza quotidiana – per l’effetto-guerra -, simmetricamente il ritorno vigoroso dell’inflazione ha preso a erodere le disponibilità liquide ferme nei conti. Viene quindi accentuato il riflesso negativo della prudenza dei risparmiatori: peraltro del tutto giustificata dopo due anni di pandemia recessiva e più di un decennio di mai ritrovata stabilità sui mercati finanziari.
Ora la corsa delle Banche centrali per raffreddare il rialzi dei prezzi promette di riportare i tassi d’interesse nominalmente sopra lo zero: con un inizio almeno teorico di normalizzazione. Ma sembra una condizione minima e appena necessaria: e sempre contando che i “guardiani” dell’euro e del dollaro riescano nel compito estremamente impegnativo di tenere a bada l’inflazione non spegnere la ripresa appena avviata, soprattutto quando la guerra sta già frenando il commercio internazionale.
Per rimettere in movimento il risparmio italiano (europeo) per aiutare l’Azienda-Italia (Ue) è indispensabile ripristinare fiducia, o almeno arrestare la caduta di fiducia, peraltro inevitabile in uno scenario complesso come quello attuale. L’unica ricetta al momento praticabile sembra riguardare gli annunci sulla riforma fiscale: che è ancora in fase di pre-elaborazione, benché entro gli impegni stringenti legati all’erogazione degli aiuti Recovery Plan.
Se il riordino del catasto e della tassazione sulla proprietà immobiliare è un passo atteso da molti anni e in parte direttamente finalizzato al contrasto all’evasione; qualsiasi misura di appesantimento tributario sul risparmio finanziario sembra almeno prematura: non dimenticando che sul risparmio gestito e amministrato delle famiglie gravano già da un decennio mini-prelievo “patrimoniali” annui. In una fase in cui il risparmio va risvegliato – e non spaventato o punito – lo Stato sembra piuttosto chiamato a cooperare con il mercato per riattivare circuiti virtuosi: ad esempio nell’indirizzare risparmi e capitali verso investimento in tecnologie pulite e sostenibili. Oppure nel canale, mai sufficientemente largo, della previdenza complementare (che per molti lavoratori autonomi si profila ormai come principale).
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