Micromega e quella laicità che rende più soli

Micromega ha attaccato il battesimo dei bambini, definito "pedobattesimo", giudicandolo una violazione del diritto individuale all'autodeterminazione

C’è una polemica che monta dalle pagine di Micromega, la rivista culturale diretta da Paolo Flores d’Arcais, e che lambisce tematiche che negli ultimi decenni sono diventate centrali nel definire la frontiera della laicità.

Alessandro Giacomini mette in fila tutte le ragioni per cui il battesimo dei bambini – gesto compiuto senza la volontà del minore e non strettamente indispensabile al suo bene – dovrebbe essere vietato da parte dello Stato laico. Lo fa con un tono che ricorda molto quello degli intellettuali pagani del II e del III secolo, frammischiando a motivazioni che sono certamente meritevoli di riflessione, riferimenti e rimandi che schiudono al lettore un livore e una rabbia inusitati per una religione palesemente in declino.

Sicuramente colpisce l’utilizzo del termine pedobattesimo, lemma di origine ecclesiastica, ma che nel contesto attuale evoca un fenomeno orribile come quello della pedofilia. È come se Giacomini dicesse che il battesimo dei bambini, in fondo, sta nell’universo semantico e valoriale dell’abuso, di quell’abominio che oggi è stigmatizzato e condannato, un delitto che – quasi certamente – si allargherà a come la Chiesa concepisce il suo rapporto con i minori e che, prima o poi, arriverà a investire anche il sacramento con cui inizia l’avventura cristiana.

È chiaro che di fronte alle affermazioni del professore ci si possa sentire anche abbastanza sguarniti: c’è della malafede, e si vede dal modo in cui il docente cita fonti e interventi magisteriali senza approfondirli, c’è anche un poco di ignoranza, perché il battesimo è un dono che i genitori fanno al bambino – una Grazia si direbbe con antiche parole – certamente non un’imposizione, ma c’è soprattutto il facile gioco di inchiodare la Chiesa al proprio male, alla ferita aperta di un peccato ingiustificabile che rappresenta – oggettivamente – la sintesi dei due tumori che ne hanno minato la credibilità: il rapporto col potere e quello col desiderio.

Chi è cattolico, e vorrebbe raccontare la forza e il bene che ci sono nella Chiesa, si trova sempre di fronte a questo fatto evidente che smorza le parole, allenta le emozioni, impensierisce i cuori. Quel male c’è stato, probabilmente c’è ancora, e farci i conti dovrebbe portare a imparare parole nuove e stili nuovi nel raccontare sé stessi e nel proporre al mondo la propria verità.

Giacomini ha ragione: noi cristiani siamo corrotti, sottoposti alla continua tentazione di gestire Dio e di dirigere la vita degli altri, di agire in nome di Dio e di chiedere al potere civile di far eseguire quello che la nostra forza morale non riesce più a muovere spontaneamente nell’animo umano. Ma purtroppo anche in queste condizioni, anche così mortificati e manchevoli, noi cristiani non riusciamo a dimenticarci di quello che abbiamo visto, che abbiamo toccato, che ci ha investito e cambiato la vita. Per noi la Chiesa è il luogo dove il nostro modo di amare, di fidarci e di sperare è stato salvato da quella costitutiva incapacità che ci troviamo dentro: quell’incapacità radicale di stare, di permanere e di vivere che i nostri padri hanno chiamato peccato originale. Come si fa a non volere tutto questo per un figlio, Giacomini?

Lei ha ragione: noi cristiani non siamo stati granché in questi duemila anni come cittadini, come educatori, come testimoni. Ce ne andremo presto, e presto nessuno si ricorderà più di noi. Trasformerete le nostre chiese in lounge bar, i nostri oratori in strutture per l’economia circolare, brucerete i nostri registri e racconterete a tutti come vi siete liberati da quell’orda di predatori pedofili che hanno assediato le vostre città per secoli. Sarete finalmente liberi.

E lo saranno anche i vostri figli. Eppure, guardandoli, non potrete fare a meno di provare quello che proviamo noi, di desiderare che qualcosa squarci il cielo e venga a dirvi che la solitudine non vincerà, che lo smarrimento non vincerà, che quelle vite e quei respiri saranno custoditi per sempre. Lo vorrete, lo implorerete. Voi, atei e agnostici. E forse allora avrete la segreta nostalgia che quel mondo che avete distrutto torni presto, avrete il desiderio di trovare un uomo che abbia un po’ di quell’acqua, di quella fede che in quell’acqua è significata, e che – al di là di tutto – introduce nel mondo la rivoluzione: “tu non morirai”.

Perché moriremo tutti, caro Giacomini. E di noi non resterà più nulla. Ma poi ci rincontreremo. E in un mondo diverso da questo tutti insieme ci daremo una mano perché questa storia di Grazia, così vituperata e ottusa, raggiunga tutti, salvi tutti. E sorrideremo di queste strane pretese di laicità che rendono nominalmente tutti più liberi e autodeterminati. Ma che, in fondo, restituiscono alla storia persone più fragili, più deboli, senza appartenenze. Più sole. E per questa solitudine del mondo, Giacomini, insieme anche piangeremo.

Quello che amiamo si può salvare, quello che desideriamo si può compiere, quello che domandiamo si può realizzare. È questa la promessa del cristianesimo. Certamente un’illusione da tenere fuori dalla portata dei bambini. Ma, sommessamente, le chiedo: e se fosse vero?

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