Una Lamborghini, il desiderio e tanta ipocrisia

Se il desiderio di infinito del cuore umano si alimenta di falsi oggetti di soddisfazione e di falsi diritti, tutto (anche gli altri) diventa nulla

Ma, prima, qualcuno gli avrà mai detto “tu vali”? Prima, dico, che Matteo Di Pietro e gli altri amici suoi TheBorderline si mettessero a compiere ed esibire sfide esagerate e insensate, in fondo per sentirsi considerati gente che vale? Prima che si mettessero a scalare vette sempre più estreme di insensatezza, fino al tragico epilogo di una giovanissima vita innocente stroncata?

Ora indignazione e condanna sono sentimenti che tutti proviamo, ed è giusto che sia così, senza sconti e senza mezze giustificazioni. Ma è abbastanza? Qualche domanda ce la dobbiamo pur porre. Per esempio questa: quei ragazzi sono semplici mele marce o non piuttosto un campanello di allarme sulla nostra civiltà e sul tipo umano che essa propone, favorisce ed esalta? Troppo facile sarebbe, come ha detto l’attore Luca Bizzarri, quello della coppia comica Luca e Paolo, “farsi parte di un’orda giudicante che si autoassolve dal piedistallo dei giusti”.

Quando Vasco Rossi canta “voglio una vita spericolata, voglio una vita esagerata… come quella di Steve Mc Queen”; o quando il grande scrittore Camus ci esorta “siate realisti, chiedete l’impossibile”, viene evocato il desiderio profondo e ineffabile che marchia ogni uomo e che prorompe soprattutto negli anni giovanili. Sempre che uno non sia già rassegnato a sedici anni alla (pagana) aurea mediocritas, vuol sentirsi libero e felice e morde il freno rispetto a tutto ciò da cui si sente costretto e limitato. Tutto ciò che appare finito.

Si tratta appunto del desiderio di infinito, di cui possiamo essere incoscienti ma che determina originariamente le nostre mosse. Facilmente mosse sbagliate, per via del pensiero dominante che nega la posizione religiosa (appunto l’uomo come domanda di infinito), vanifica la realtà nel nichilismo e devia il desiderio verso falsi oggetti di soddisfazione; così riducendolo, frammentandolo in mille appetiti e in sostanza reprimendolo. Per via, dunque, dei tanti inadeguati se non perniciosi modelli per cui tutto può essere consumato e tutto può essere esibito per essere riconosciuto e sentirsi qualcuno. E più è eclatante, fuori dal comune e figo, meglio è.  Incomincia fin dalla prima età scolare, e non da oggi, l’idea della divisione tra vincenti e sfigati, l’immersione nella ultra-competitività in nome e per conto dei genitori che uccide il gusto libero gioco e la serenità dell’apprendimento.

Il ’68 ha giustamente (in questo) contestato un ordine sociale repressivo dei desideri considerati di per sé “eversivi”, e perciò tutto basato su doveri, obblighi e proibizioni; sull’istituzione o sul potere e non sulla persona. Ma il combinato disposto tra il sessantottesco radicalismo libertino e il neo-liberismo globale degli anni 80-90 del secolo scorso e seguenti ha prodotto una società in cui ogni desiderio individuale (cioè non il desiderio di infinito ma la sua riduzione in desideri parcellizzati e deviati) è un diritto, e la dignità umana si documenta non nell’adempimento dei doveri ma nella riuscita individuale: riuscire a fare non importa cosa, purché funzionale a sentirsi riconosciuti come “qualcuno”. Vincenti o sfigati nell’infanzia, vincenti o sfigati nella vita adulta professionale. Chi non è “qualcuno” è “scarto”. Questa è la legge ferrea della illibertà cui solitamente ci adeguiamo.

Quanto sia pervasiva questa (sub) cultura dell’esibizionismo futile nichilista ognuno, se vuole, può provare a misurarlo su di sé esaminando quanto tempo passa sui social a postare che cosa: se per comunicare o per esibire, e per “piacere”. Comunque ci sarà pure un motivo per cui la cinque “mele marce” di Casal Palocco hanno 600mila follower, e il loro ispiratore statunitense MrBeast ne ha 160 milioni e ha accumulato finora 12 miliardi di visualizzazioni. Senza contare il macchinario pubblicitario ed economico che favorisce e utilizza questi fenomeni. Quanta ipocrisia.

Una cosa sembra certa: sia che rinunciamo al desiderio di infinito, sia che lo lasciamo andare in direzioni sbagliate, riducendolo e spappolandolo, siamo come Dante perso nella selva oscura: da soli non ne esce più. Anche a Dante piaceva essere ammirato, gongolarsi in compagnia dei più grandi poeti dell’antichità. Ma non gli sarebbe ultimamente giovato. Il fatto è che c’era una Beatrice, segno presente dell’amore divino, che lo amava gratuitamente, che non imponeva riuscite; e c’era un Virgilio, maestro e guida, educatore. Glielo hanno fatto percepire profondamente, prima, che “tu vali” per sempre.

Così, la compagnia delle Beatrici e dei Virgilio del nostro tempo, che possiamo avere la fortuna di incontrare, vale per l’eternità. Altro che una Lamborghini per cinquanta ore.

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