Si può vincere senza mai sconfiggere nessuno? Quello a cui stiamo assistendo in queste settimane con il Giro d’Italia sta rendendo reale questo paradosso. C’è un campione che fin dalla prima tappa ha preso in mano la corsa, l’ha dominata come non era mai accaduto prima, ha inanellato cinque vittorie con una disinvoltura disarmante, eppure non ha lasciato l’amaro in bocca a nessuno dei suoi avversari. Quando vince sembra vincere per tutti. Questo campione, Tadej Pogacar, ha 25 anni, è nato in un piccolo paese nel cuore della Slovenia, Komenda, e non è retorico dire che abbia il ciclismo nel sangue.
Pogacar è al suo primo Giro d’Italia, ma nel suo curriculum ha già due vittorie straordinarie perché ottenute in giovane età al Tour de France. È partito quindi logicamente come favorito, ruolo che ha rivestito senza la minima ansia fin dalla prima pedalata. Per chi non avesse seguito la corsa, il suo bilancio, a pochi giorni dal traguardo finale di Roma, è come detto di cinque tappe vinte su 17, due secondi posti, e quasi 8 minuti vantaggio in classifica. Ha vinto in tutti i modi, a cronometro, in salita e anche in volata.
In altri casi in gergo sportivo lo si sarebbe definito “un cannibale”. Ma Pogacar è un campione di razza strana, perché vince senza essere famelico e quando taglia il traguardo lo fa sorridendo come se con lui vincessero un po’ tutti. Sicuramente con lui vince il ciclismo. Due giorni fa, in occasione del suo arrivo a Monte Pana, in Trentino, si è come scusato di aver portato via la vittoria ad un giovane campione italiano, Giacomo Pellizzari, superato a poche curve dal traguardo. Lo ha superato con leggerezza e poi ha anche dato la sensazione di volerlo aspettare. Alla fine ha spiegato di aver vinto quasi senza volerlo e con un gesto che ha sorpreso tutti ha consegnato occhiali e maglia rosa al suo avversario. Ma davvero ci si può sentire avversari di un campione così? Di uno che quando taglia il traguardo sembra farlo per la gioia di tutti quelli che seguono?
“Pogacar è l’essenza stessa di questo sport che lui interpreta con uno sguardo innocente, quasi fanciullesco, pedalando con una felicità che non si è mai vista, vincendo con la gioia che è la gioia stessa di chi ama il ciclismo”, ha scritto benissimo Aldo Grasso in un articolo sul Corriere della Sera. Ci si può sentire avversari di uno che “quando decide di partire sembra una festa”?
Il ciclismo, come sport, è sempre stato la quintessenza della fatica: c’è tutta un’epica di vittorie all’ultima goccia di sudore, di traguardi superati con il volto devastato dallo sforzo. Pogacar non cancella certo quell’epica, ma sembra scrivere un’altra storia. “Per quanto mi riguarda è bellissimo aggiornare la storia”, ha detto. E di questo aggiornamento fa parte anche una tecnologia (tutta italiana) che ha fatto della sua bicicletta un meraviglioso gioiello, quasi un cavallo ariostesco, come lo ha definito sempre Grasso. Così, alla fine, nel suo stile non si avverte la strapotenza che caratterizza lo stile degli altri suoi colleghi, tutti nordici, che stanno segnando questa stagione del ciclismo, con le loro vittorie strabilianti. Lui vince con gentilezza, senza necessità di ricorrere ad un furore agonistico. Come ha detto in un’intervista “faccio una pedalata alla volta senza intossicarmi la mente”. In fondo Pogacar il rosa non l’ha solo sulla maglia ma ce l’ha anche nell’anima.
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