Due prossimi appuntamenti dei cattolici impegnati nel Pd sono l’occasione per domandarsi qual è il senso dell’impegno politico. Ovunque esso avvenga

Sabato prossimo sono in calendario due interessanti appuntamenti che riguardano i cattolici impegnati in politica nel centrosinistra, per la più precisione nel Pd: a Milano quello organizzato da “Comunità democratica”, a Orvieto quello di “Libertà eguale”. Il primo fa capo a Graziano Delrio ed ha come nume tutelare Romano Prodi, il secondo fa capo a Stefano Morando e guest star sarà Paolo Gentiloni.



A muovere l’iniziativa due fatti. Da un lato la spinta dalle Settimane sociali dei cattolici, l’ultima a Trieste a luglio, aperta da Sergio Mattarella (che è culturalmente di tradizione cattolico-democratica), dall’altro lato la presa d’atto che nella casa Pd di Elly Schlein per i cattolici democratici e per i fautori di una sinistra riformista di governo manca un po’ tanto l’aria.



Ma perché ai cattolici nel Pd manca l’aria? Perché, casualmente, comanda la Schlein? No, perché Elly Schlein arriva a un certo punto della traiettoria del fu-Pci che nella visione originaria del cattolicesimo democratico era immaginata ben diversa. Riassumendo in soldoni. Il cattolicesimo democratico, principalmente vissuto nella sinistra Dc, si rifà alla visione di Dossetti: il fascismo è il male assoluto, ma i cattolici non devono (più) aver paura dello Stato, ora che possono dirigerlo; loro compito storico è costruire lo Stato democratico, di cui la Costituzione è la sacra scrittura; democrazia e giustizia sociale sono il terreno comune di un asse tra cattolici e comunisti, possibile a condizione che le rispettive “metafisiche” siano dismesse o lasciate fuori dallo spazio pubblico: l’ateismo del Pci e l’integralismo dei cattolici.



Dopo De Gasperi, questa fu in sostanza la cultura-politica prevalente, nella Dc e nel mondo cattolico organizzato, da Fanfani e Moro a Prodi e Mattarella. La più parte dei cattolici democratici, finita la Dc e il Ppi, hanno trovato casa nel Pd che, depurato dalla metafisica ateistica, avrebbe dovuto essere latore di condivisibili istanze sociali. Con l’Ulivo, poi, essi sono riusciti a guidare addirittura la coalizione. Con Mattarella la cultura cattolico-democratica è al vertice dello Stato. Ma fino a quando? Si può far conto ancora per il futuro su presenze di simile peso?

Ma soprattutto, il fatto è che sulla parabola del Pci Dossetti aveva torto, mentre aveva ragione Del Noce: il partito che fu di Gramsci e Togliatti sarebbe diventato un partito radicale – diremmo liberal – di massa. Eccoci appunto: dai diritti sociali ai “nuovi” diritti individuali, salvo un massimalismo verbale che serve alla “comunicazione” ma non a far politica, cioè non lavora – riformisticamente – per i buoni risultati.

Da qui la “mancanza d’aria” che affligge Delrio e gli altri. Chi scrive pensa che tale mancanza d’aria sia il segnale non solo del sinistrismo populista/armocromistico della Schlein, ma l’esito in qualche modo inevitabile di quella lettura della storia sopra pur grossolanamente tratteggiata – il fascismo male assoluto, con tutto ciò che ne consegue – che non è originale, non deriva neanche da una particolare “intelligenza della fede” ma è subalterna alla cultura politica azionista e comunista.

Sarebbe interessante che in questi convegni qualcuno osasse mettere in discussione l’assioma della necessità dell’eterno antifascismo (Umberto Eco); forse sarebbe utile recuperare la riflessione sul potere di Romano Guardini (Il Potere), sul nuovo potere che “non sa che farsene della Chiesa” di Pierpaolo Pasolini (Lettere luterane), sulla dialettica potere-desiderio (o senso religioso)-opere di Luigi Giussani (discorso ad Assago del 1987). Visto che razza di moloch non tutto decifrabile è il potere oggi… altro che manganello e olio di ricino.

Interessante che Delrio abbia dichiarato che l’appuntamento del 18 concepisce il lavoro politico come ascolto delle svariate esperienze di impegno diretto con i bisogni, che delle Settimane sociali sono protagoniste. Le esperienze sul campo possono suggerire letture, approcci e interventi più adeguati. Fino alle forme, sottolineate dalla Corte costituzionale, di “amministrazione condivisa”.

Sarebbe infine sommamente interessante vedere se, in questi laboratori, si dà spazio e si promuove una cultura della sussidiarietà. Sempre, ma ancor più oggi, non si rimedia alla disaffezione alla politica né con appelli moralistici, né con personalismi messianici alla Grillo per intenderci, ma con l’incoraggiamento, il sostegno e la valorizzazione del protagonismo della persona e delle aggregazioni di base. L’Italia ha una storia ricchissima di sussidiarietà: senza i movimenti cattolico e dei lavoratori e le loro opere non avremmo le tutele e i diritti sociali. Meglio non dimenticarlo.

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