Nel dibattito relativo alla sanità non sempre si esamina o non si guarda correttamente in prospettiva al ruolo del privato
L’attuale dibattito sulla presenza del privato in sanità è inficiato da errori, pregiudizi, incomprensioni, parzialità e altri ulteriori difetti (magari non tutti insieme contemporaneamente) che non permettono di vedere la realtà in tutta la sua complessità e di trarne le dovute conseguenze. Con questo contributo si cercherà di dimostrare perché il dibattito è monco, distorto, incompleto, e perché una osservazione di tutta la realtà sanitaria che non voglia trascurare niente porta a dire che abbiamo bisogno sia del pubblico che del privato, e a quali condizioni.
Cominciamo col considerare, come dice Zamagni (“Tra le crepe dell’universalismo”, Il Mulino, 2024), che “la salute di ciascuno dipende da quella di tutti” e ciò “comporta che la salute sia un bene comune e dunque né un bene pubblico né un bene privato”. Non solo, ma occorre riconoscere che la salute delle persone ha certamente a che fare con il sistema sanitario, ma dipende anche da molti altri fattori come gli stili di vita e le abitudini personali, le condizioni dell’ambiente di vita e di lavoro, la condizione sociale e così via, elementi che per la salute fanno superare la dicotomia tra bene pubblico e privato.
Bisogna poi prendere atto che il nostro servizio sanitario non è solo sanitario ma è anche socio-sanitario: e proprio questa specificazione, spesso trascurata o non completamente considerata, ha una ricaduta fondamentale sul tema che si sta trattando in quanto è l’area dove il privato è maggiormente presente, e dove la presenza si qualifica principalmente sotto la forma di strutture “non profit”.
Poi occorre superare la concezione che “pubblico” equivalga con “statale”. Non è solo in sanità che si compie questo errore (vedi, ad esempio, la scuola, ma non solo), ma in sanità è particolarmente rilevante perché esiste un fondo sanitario nazionale stabilito dallo Stato e messo in mano alle strutture pubbliche (Regioni) che decidono come usarlo anche per le strutture private regolandone le attività.
Infine, è bene ricordare che con il termine “privato” sono considerate diverse tipologie di strutture: le strutture private che sono accreditate dall’ente pubblico di competenza (ASL, Regioni) e agiscono quindi per conto del SSN, con molte regole assimilabili a quelle che governano le strutture di natura pubblica, strutture private che poi si dividono in strutture “profit” e “non profit”; le strutture private non accreditate che agiscono in regime di “non profit”, soprattutto (ma non solo) nel contesto socio-sanitario; le strutture private non accreditate ma che agiscono in regime di “profit”, cioè il privato che agisce con le regole proprie del mercato, dove tutte le prestazioni erogate sono a totale carico di chi le richiede.
Cosa dice la realtà del nostro Paese? Al di là delle differenze geografiche nella presenza del privato, a livello nazionale il privato che agisce “for profit” rappresenta un mercato molto ampio (stimato in 40-50 miliardi di euro) a cui possono accedere solo coloro che hanno le risorse, un mercato quindi che non si attaglia ai principi di universalismo, uguaglianza, ed equità su cui è fondato il nostro SSN, un mercato che sicuramente fiorisce anche per i difetti del SSN (esempio: tempi di attesa lunghi, prestazioni escluse dai LEA, ecc.), un mercato che non può essere riportato dentro il SSN perché a oggi non sembra che lo Stato sia disponibile a mettere le risorse che servirebbero.
Non è questo però il tipo di privato di cui si occupa normalmente il dibattito pubblico-privato in sanità, se non per alcuni specifici aspetti come l’attrattiva economica che questo settore può avere nei confronti del personale del SSN (medici, infermieri) oppure il pericolo che prestazioni ed attività che potrebbero (dovrebbero) essere erogate dentro il SSN vengano invece dirottate verso il privato “for profit”.
C’è poi il mondo delle strutture private non accreditate che agiscono in regime di “non profit”. Si tratta di strutture che non ricevono risorse dal SSN, che provvedono in proprio al loro finanziamento facendo anche esteso ricorso al volontariato, ma sono strutture che erogano servizi e attività che hanno a che fare con il SSN, in particolare sul versante socio-sanitario, complementari e integrative al SSN stesso, ma non perché superflue o non essenziali per la salute, ma perché indirizzate verso elementi di fragilità che il SSN non riesce a coprire oppure verso settori di popolazione caratterizzata da povertà economica che si esprime nella forma di povertà sanitaria (rinuncia alle cure, ad esempio). Sarebbe necessario che il SSN si accorgesse formalmente della presenza di queste strutture, trovando una maniera adeguata per includerle nel SSN come complemento rispetto alle strutture di natura pubblica, considerato che la loro attività partecipa al raggiungimento di obiettivi di sanità pubblica che il SSN non è in grado di perseguire. Anche di queste strutture, purtroppo, non si parla nel dibattito pubblico-privato, nonostante la loro esistenza sia anche quantitativamente rilevante ed indirizzata verso contesti che dovrebbero essere coperti dal SSN e che in realtà non lo sono.
Da ultimo, ed è questo (purtroppo) ciò cui il dibattito si indirizza in maniera esclusiva, e perciò parziale, vi sono le strutture private accreditate che agiscono sia “for profit” che “non profit”, particolarmente attive nel contesto ospedaliero e ambulatoriale. È a tali strutture che vengono attribuiti comportamenti inadeguati come la selezione delle attività (quelle più remunerative), la selezione dei pazienti (quelli meno gravi), una discutibile gestione delle liste di attesa, e così via, tutte problematiche che possono essere affrontate e risolte attraverso azioni serie di programmazione sanitaria e di controllo da parte degli enti pubblici deputati.
In sintesi. Al di là di commendevoli atteggiamenti ideologici (pro e contro) che qui non si è voluto esplicitamente considerare, un’analisi completa e non parziale della realtà mostra che nell’azione di tutela della salute le strutture private sono presenti in forza e intervengono anche in aree di fragilità e su popolazioni “povere” che l’azione delle strutture di natura pubblica non raggiunge e aiutano quindi a elevare il livello con cui si possono perseguire gli obiettivi di universalismo, uguaglianza ed equità che sono alla base del nostro SSN.
Contemporaneamente, agli enti pubblici competenti (nazionali, regionali, ASL, comuni, ecc.) va richiesta un’azione più forte e più mirata per intervenire (con l’accreditamento e i controlli, ad esempio) in quelle situazioni dove le strutture (pubbliche e/o private) non agiscono nella direzione del (o si discostano dal) raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute stabiliti dal SSN.
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