Quando il territorio decide di non aspettare

Si moltiplicano gli esempi di attuazione della sussidiarietà a livello territoriale. Uno di questi riguarda Como

La concezione più moderna di sussidiarietà basata sulla collaborazione tra enti pubblici, realtà dell’economia sociale e imprese profit non è più solo una chimera confinata nella teoria. A livello locale si moltiplicano gli esempi della sua attuazione nei più diversi settori e secondo le più differenti modalità. L’accordo di Como “Un lavoro per tutti” ne è un ulteriore esempio.



C’è un momento in cui un territorio smette di leggere il cambiamento come una minaccia e sceglie di farsene interprete. A Como questo momento sembra essere arrivato con la stipula dell’accordo territoriale Un lavoro per tutti, promosso dalle realtà della formazione e del lavoro insieme alla Prefettura e aperto all’adesione di tutta la comunità lariana. Un’iniziativa che nasce dal basso, ma che guarda molto in alto: alla responsabilità collettiva di immaginare il futuro del lavoro prima che il futuro, ancora una volta, travolga il presente.



Non stiamo attraversando un’epoca di cambiamenti. Siamo immersi in un cambiamento d’epoca. E il lavoro è oggi il più sensibile dei crocevia: della transizione ambientale ed energetica, di quella digitale e demografica, di quella culturale che investe i significati stessi dell’agire umano. In un mondo in cui la tecnologia ridisegna spazi e tempi, il lavoro non si misura più a ore, ma a obiettivi; si regge sempre più su autonomia, responsabilità, fiducia e rispetto; abita luoghi diffusi grazie allo smart working, ai sistemi di controllo remoto, alla manutenzione digitale.



Ma mentre tutto cambia, si allarga la distanza tra le nuove generazioni e i paradigmi dei padri. Il fenomeno globale delle grandi dimissioni e del quiet quitting non è una moda: è la spia di una crisi di senso. Se tanti, anche senza alternative, rinunciano a un impiego o scelgono lavori meno remunerati pur di recuperare significato vuol dire che qualcosa di profondo si è incrinato.

A questo si aggiunge un mismatching che tocca pressoché tutti i settori, aggravato dall’inverno demografico e dall’esclusione dal mercato del lavoro di intere popolazioni potenzialmente preziose: giovani Neet, persone con disabilità, migranti. L’Italia resta fra i Paesi europei con la più alta incidenza di Neet: peggio fa solo la Romania. Un paradosso doloroso in un Paese che lamenta carenza di competenze e allo stesso tempo non riesce a includere chi le competenze potrebbe acquisirle.

Image by Davide from Pixabay

Serve una visione nuova, e serve subito. Servono luoghi e alleanze capaci di liberare il lavoro – non “dal” lavoro, come chi attende la pensione come via di fuga, ma “nel” lavoro, perché ogni persona possa crescere, fiorire, contribuire al bene comune.

L’accordo Un lavoro per tutti si muove esattamente in questa direzione. Mette in rete istituzioni, imprese, scuole, centri di formazione, associazioni: non per aggiungere un altro tavolo alla lunga lista dei tavoli territoriali, ma per creare una intelligenza collettiva in grado di generare cultura, politiche e progetti concreti. Tre livelli integrati, dove la cultura dà senso, la policy costruisce le condizioni e i progetti trasformano le idee in realtà.

Al centro ci sono tre principi semplici e radicali. Accoglienza, perché ogni persona possa trovare uno spazio di crescita e contribuire alla vita della comunità. Inclusione, che parte dalla convinzione che ciascuno è educabile e può essere accompagnato nel proprio percorso. E bellezza, intesa come desiderio profondo dell’uomo: qualità del lavoro, della formazione, dell’ambiente in cui si vive. Senza questa tensione, nessun territorio fiorisce davvero.

L’ambizione dell’accordo è chiara: attivare un dialogo stabile tra imprese, istituzioni e giovani; interpretare le sfide del presente; generare opportunità formative e occupazionali; costruire un ecosistema del lavoro innovativo e inclusivo. Per farlo serve anche un cambio culturale che parte dalla scuola: dalla formazione degli insegnanti e degli orientatori, senza la quale resterà intatto il pregiudizio che considera superiore il lavoro intellettuale rispetto all’intelligenza delle mani. Un pregiudizio che rischia di svuotare di futuro il patrimonio artigianale e artistico del made in Italy. Maria Montessori lo disse con chiarezza: «La mano è lo strumento della mente».

Interpretare il cambiamento, in un tempo di transizioni così burrascose, significa forse tornare alle basi: alla società civile, alle forme di coesione che nascono dal basso, alla valorizzazione della famiglia come luogo di cura ed educazione, alla creazione di spazi in cui le persone – e le famiglie – possano sostenersi reciprocamente.

La riflessione del territorio per iniziare a costruire una visione condivisa si è avviata a partire dal Rapporto “Sussidiarietà e… welfare territoriale”, un pilastro identitario della democrazia e della cultura di un popolo che guarda alla fragilità come condizione di vita di ognuno e l’abbraccia in una dimensione solidale e collettiva. La sussidiarietà segna la strada da percorrere, è saggezza di governo; per comprendere la complessità occorre partire dall’ascolto di chi vive i processi da vicino per trovare soluzioni appropriate ai bisogni in continua evoluzione.

Como, con questo accordo, lancia un messaggio di speranza: ritornare a pensare, confrontarsi e imparare dall’esperienza. Ognuno può aderire e contribuire allo sviluppo delle policy e dei progetti.

L’Italia può contribuire alla rinascita della cultura europea se sapremo trasformare la paura del cambiamento nella forza di una comunità che non si limita a reagire, ma sceglie di essere protagonista del proprio destino.

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