L’avvenimento di un padre che ci attende

Il cristianesimo è anzitutto un avvenimento, l’evento di Cristo redentore dell’uomo. L'unico Fatto che ci salva dalla relatività delle nostre opinioni

“All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Benedetto XVI, Deus caritas est 1). Eravamo nel 2005 e nella sua prima enciclica Benedetto XVI sdoganò definitivamente la categoria di “avvenimento” per definire l’essenza del cristianesimo.



Sono passati vent’anni e, come tutte le cose vere, sembra più urgente ripartire da lì adesso rispetto a quando quelle parole furono scritte. L’acqua che scorre sotto i ponti, infatti, rischia di trascinare con sé, come in un grande dimenticatoio, tutte le scoperte che sono state fatte nel tempo, e non senza grandi fatiche. Prima che comparisse in un testo magisteriale, era stato don Luigi Giussani a definire il cristianesimo come un avvenimento, nel senso di un imprevisto che accade e dà inizio a una storia nuova che permane. Non avvenimento nel senso di un lampo che appare e scompare, come intendevano alcuni autori protestanti, ma come un impeto in grado di cambiare sul serio la realtà.



Don Giussani ricorse a quella categoria per salvare il cristianesimo dalle riduzioni di cui era diventato ostaggio: etica, valoriale, morale… ogni tempo sembra intento nel costruire la sua gabbia che, oggi, pare essere diventata quella delle interpretazioni.

Quando il metodo dell’avvenimento si dissolve, infatti, subito parte il festival delle opinioni e delle relative interpretazioni. Il gioco si sposta su un campo paludoso dove nessuno è realmente intenzionato a sfidare l’altro, ma a mostrare a tutti che lui c’è. Basti guardare, solo per fare un esempio, cosa sta capitando di fronte alle sfide della cronaca attuale che, del resto, fornisce non pochi spunti.



Si passa in un batter d’occhio dal governo americano alla salute del Papa, dal terremoto in Myanmar ai dazi, dalle origini rinnegate dell’Europa all’accusa di neutralismo, e ciascuno, grazie a Dio, fa il suo tentativo interpretativo. Ma ci accorgiamo che, in tutto questo parlare, manca una novità. Sono cose già sentite, prospettive sviscerate innumerevoli volte e che non sono state mai in grado di cambiare le cose. Ciascuno se ne torna a casa contento di aver parlato. Ma che contributo stiamo dando alla storia?

La liturgia della quarta domenica di quaresima propone un racconto evangelico che, prima o poi, dovremo deciderci di togliere dalla Bibbia, qualora volessimo andare avanti con le nostre interpretazioni: la parabola del padre misericordioso.

Conosciamo tutti il racconto. Un padre aveva due figli che deve riconquistare. Il primo perché decide di andare via di casa, il secondo perché non c’è mai stato fino in fondo. Che metodo usa? Decide di osservare l’azione dei figli rischiando tutto, patrimonio compreso, sulla loro libertà. Alla fine, dei due, torna veramente solo quello che ha preso la sbandata più clamorosa. Il “suo” errore gli permette di fare la “sua” verifica e il “suo” ritorno. Dopo l’abbraccio col padre, quella che prima era la casa adesso diventa la “sua” casa. Il padre sceglie per sé il drammatico posto di chi attende.

Con questa parabola Cristo spazza via in un colpo tutte le opinioni e le interpretazioni che al suo tempo avevano ingabbiato Dio stesso in un elenco di prescrizioni asfissianti. Non perde tempo, non propone un’interpretazione più acuta o più argomentata recuperando le radici della fede ebraica che erano state rinnegate da coloro che aveva davanti; pone invece sé stesso come novità, come avvenimento con cui tutti devono fare i conti.

La stessa occasione si presenta oggi per noi: “Nel rispondere alle sfide del vivere, nessuno di noi può evitare di dire cosa ha di più caro, qual è il contenuto sintetico della sua autocoscienza: se l’avvenimento della fede o i valori morali. […] Il ‘tu’ dell’altro fa talmente parte della definizione dell’io da destare l’autocoscienza con cui un io affronta tutto. È dunque il rapporto con un certo ‘tu’ che rende possibile un modo di stare nel reale tutto diverso, più vero, determinato dalla autocoscienza nuova che esso suscita in noi. Perciò, l’appartenenza a questo ‘tu’ definisce la posizione culturale” (Julián Carrón, Ti ride negli occhi la stranezza di un cielo che non è il tuo. Forum di Assago, 26 settembre 2015, p. VI).  Questo “tu” è ancora un avvenimento nella mia vita?

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI


Ti potrebbe interessare anche

Ultime notizie di Chiesa

Ultime notizie

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.