Un ateo stupito dalla Chiesa di Francesco

L’ultimo libro di Javier Cercas è il racconto di un viaggio speciale, quello compiuto – lui, ateo – al seguito di papa Francesco in Mongolia nel 2023

C’è una lettura preziosa e istruttiva per arrivare al cuore del pontificato di Francesco: è il libro uscito da poco scritto dallo scrittore spagnolo Javier Cercas, che racconta, passo a passo, uno dei viaggi più emblematici di Bergoglio, il viaggio in Mongolia, compiuto tra agosto e settembre 2023.

Cercas è autore che si professa ateo: mai avrebbe immaginato di fare un libro simile se non avesse avuto un invito da parte degli uffici della comunicazione del Vaticano che all’inizio lo aveva preso quasi in contropiede. Gli erano state garantite massima libertà e massima disponibilità a sostenerlo nel lavoro, facendolo parlare dal Papa in giù con le autorità vaticane in qualche modo implicate con quello “strano” viaggio.



Un libro che sarebbe stato pubblicato da Guanda, un editore laico a maggior garanzia per lo scrittore, e che si annunciava dunque come una scommessa, per lui come per chi glielo aveva commissionato.

A questa motivazione ne va aggiunta un’altra, molto importante, del tutto personale: Cercas voleva raccogliere dai suoi interlocutori, Francesco compreso, una conferma che stava molto a cuore a sua madre, cattolica professante: se dopo la morte, grazie alla resurrezione dei corpi, avrebbe rivisto il suo amato marito.



Il libro quindi viaggia su questo doppio binario, di esplorazione della chiesa di Bergoglio con gli occhi di uno che parte praticamente da zero e in secondo luogo di ricerca di chiarimenti attorno al quesito che stava a cuore a sua madre. Su questo secondo punto, su cui anche Bergoglio dice la sua, è bene non rovinare la sorpresa a chi leggerà il libro.

Il primo punto invece è prezioso perché Cercas, con molta sincerità e senza avere pensieri precostituiti, prova a cercare, innanzitutto per se stesso e poi per i lettori, una chiave di lettura del pontificato di Francesco. Il viaggio in Mongolia presentava tutte le condizioni per un’indagine di questo tipo: un Paese enorme, con poco più di 3 milioni di abitanti, e una comunità cattolica che il sito vaticano dichiara essere di 1.394 persone, lo 0,04 per cento della popolazione. Perché imbarcarsi in un viaggio di oltre 8mila chilometri per incontrare una comunità tanto piccola?



Ovviamente c’era anche una ragione geopolitica: la Mongolia confina con la Cina e al volo papale, in segno di distensione, era stato concesso di attraversare lo spazio aereo di Pechino, con rispettivo scambio di messaggi nel momento del passaggio.

Ma non è questo a destare l’interesse di Cercas. Lo scrittore vuole piuttosto capire perché a Francesco stesse tanto a cuore quella comunità così sparuta, che come dice il titolo del libro sta “alla fine del mondo”. Per darsi una risposta interroga decine di persone dandone poi conto tra le pagine e in particolare resta sorpreso dall’incontro con alcune suore “missionarie”.

C’è suor Ana, della Consolata, nata in Kenya, che davanti all’incalzare di Cercas circa le ragioni vere del suo essere lì, dove il freddo arriva a 40 gradi sotto zero, lei con molta semplicità risponde: “Lei dimentica l’affetto. Non andiamo in giro cercando di convincere qualcuno di qualcosa. Vogliamo stare con la gente. Vogliamo dare solo un po’ di speranza e dire loro che non sono soli”.

C’è poi suor Francesca, arrivata in missione da Torino, che con sincerità confessa: “Devi accettare che qui noi cattolici siamo poca cosa, che non siamo nessuno e nessuno ci conosce”. “Ci chiamano ‘la gente di Gesù’ anche se nessuno qui sa cos’è il cristianesimo” spiega allo scrittore la catechista Dagvadorj Ozdaya, nata nella capitale della Mongolia.

A tutte loro papa Francesco in un discorso pieno di gratitudine aveva detto: “Non abbiate paura dei numeri esigui, dei successi che tardano, della rilevanza che non appare. Non è questa la strada di Dio. Siate sempre vicini alla gente, con quella vicinanza che è l’atteggiamento di Dio: Dio è vicino, compassionevole e tenero”.

Per Francesco quella chiesa infinitesimale era dunque una speranza per il mondo. Una speranza tanto visibile da stupire anche uno scrittore sinceramente ateo come Javier Cercas.

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