Un crisi può rappresentare un'opportunità, perché si decida di affrontare partendo dal presente e non fuggendo nel passato

Una crisi, un problema o una nuova necessità possono rappresentare un’opportunità. Non automaticamente, sono richieste alcune condizioni. Chi si trova ad affrontare la crisi, il problema o la necessità non può restare ancorato alle immagini del passato. Non può sprecare un solo secondo della sua energia a piangere la perdita di un mondo in cui “le cose venivano fatte per bene e ogni cosa era al suo posto”.



Non si può perdere la simpatia che il presente merita, per quanto piccola, lamentando che la storia ha preso “la strada sbagliata”. Una crisi diventa un’opportunità se partiamo dalla realtà così come ci si presenta. Questo vale per le questioni personali ed è un criterio utile anche quando si affrontano sfide storiche, geostrategiche o economiche. Sfide che ci hanno messo alla prova negli ultimi anni, mesi, giorni, ore.



L’ultima crisi, l’ultimo problema, è quello causato dalla guerra commerciale annunciata da Trump la scorsa settimana contro tutti i prodotti che gli Stati Uniti acquistano da altri Paesi. Il Presidente repubblicano, giunto alla Casa Bianca spinto in gran parte dal malessere causato dall’inflazione, sembra intenzionato a far schizzare alle stelle i prezzi nel suo Paese e a frenare l’economia.

I prodotti che gli Stati Uniti acquistano dall’estero non possono essere facilmente sostituiti (e probabilmente non lo saranno mai) con prodotti fabbricati localmente. Trump lo sa e tuttavia sembra disposto a provocare un disastro per avere le entrate derivanti dai dazi necessarie ad abbassare le tasse. Si tratta di conquistare il sostegno popolare a tutti i costi.



L’Europa e il mondo intero si trovano ad affrontare la necessità di vendere ad altri mercati. Il protezionismo commerciale è sempre negativo per la crescita economica e per il benessere delle persone. Nel giro di poche settimane, l’Ue ha dovuto affrontare la sfida di rafforzare la propria sicurezza e di perdere il suo principale partner commerciale (l’Ue vende il 20% della sua produzione agli Stati Uniti).

I padri fondatori dell’Unione europea seppero utilizzare un metodo che continua a essere molto utile per affrontare una crisi come quella che stiamo attraversando. Anche negli anni ’50, quando l’Europa era appena uscita dalla Seconda guerra mondiale, esistevano problemi economici e di sicurezza.

Robert Schuman, uno dei padri fondatori, spiegò nel 1957 che il politico che deve affrontare problemi di straordinaria novità e complessità si lascia guidare più dalla sua esperienza e dalle osservazioni che fa al momento piuttosto che dai ricordi di un passato lontano o dalle meditazioni sul futuro. E aggiunse che fin dall’inizio siamo stati guidati simultaneamente da una nobile ispirazione di cui non ci vergogniamo e da un realismo pragmatico che ci mantiene con i piedi per terra.

Ciò che vale per il politico vale per qualsiasi uomo. Tutto ciò che non è realismo ed esperienza ci allontana dalle circostanze in cui viviamo, l’unico posto in cui la speranza può fiorire. Ciò che Schuman chiama “ricordi di un passato lontano” (proiezioni della nostra frustrazione) o “meditazioni sul futuro” sono forbici che recidono il legame con la realtà, sogni basati su progetti di società e vite presumibilmente perfette. Ma né la vita, né la storia funzionano in questo modo.

La vita e la storia vanno avanti quando il bisogno e il problema diventano la forza trainante del cambiamento. La necessità è la scintilla che ci mette in moto, che ci fa cercare soluzioni, che ci fa riconoscere sulla stessa strada degli altri, che votino per l’estrema destra, per l’estrema sinistra o al centro.

I problemi ci fanno porre domande e le domande ci fanno uscire dalla nostra solitudine. A volte pensiamo che le uniche risposte valide siano quelle espresse in affermazioni chiare e distinte. E queste sono le meno interessanti. Fare domande significa cominciare a rispondere, perché farlo ci mette in rapporto con le persone, con le cose, con ciò che già avevamo e non avevamo visto, con ciò che già sapevamo ma avevamo abbracciato senza affetto, con la realtà che non creiamo e da cui dipendiamo. La domanda è una profezia di dipendenza.

Un esempio. Domanda: cosa può aiutarci a trasformare la guerra commerciale in un’opportunità per l’Europa? Risposta: integrare ulteriormente il mercato dell’Ue, come afferma il rapporto Draghi (che non abbiamo preso sul serio). Risposta: investire insieme in settori competitivi come la tecnologia. Sapevamo che questa era parte della soluzione, ma senza il problema non avremmo acquisito la chiarezza assoluta sulla desiderabilità di essere “più uniti”, né l’energia per essere più Europa.

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