Donald Trump è pronto a passare dalle parole ai fatti in tema di dazi. E dopo aver minacciato l’introduzione di nuove tariffe doganali nei riguardi dei confinanti Canada e Messico è pronto a mettere nel mirino Cina e Ue. Riguardo quest’ultima ha infatti ricordato l’eccessivo sbilanciamento negli scambi commerciali che genera per gli Stati Uniti un deficit da 350 miliardi di dollari. Il commissario europeo agli Affari economici, Valdis Dombrovskis, dal canto suo ha spiegato che l’Ue è pronta a difendere i suoi interessi e a rispondere in modo proporzionato alla minaccia della Casa Bianca. Come ci spiega Nicola Rossi, già Professore ordinario di Economia all’Università di Roma Tor Vergata, «è evidente che per l’Europa c’è un rischio e penso che l’unica maniera seria per affrontarlo sia a livello di Unione e non dei singoli Stati. Credo anche che occorra farlo in termini molto schietti, senza timori reverenziali. Quello europeo è un grande mercato e gli americani ci penseranno due volte prima di negarselo».
Pensa che si debbano predisporre dei “contro-dazi” Ue da applicare ai prodotti americani?
Solitamente nelle guerre tariffarie qualcuno comincia senza rendersi bene conto delle conseguenze e dall’altra parte arriva una risposta dello stesso tenore, con il risultato finale di un peggioramento della situazione economica per tutti. Penso, quindi, che non si debba arrivare a quel punto, ma che vada intavolata una trattativa molto prima e credo che ci siano argomenti validi per trovare una soluzione che riduca al minimo i danni che potrebbero altrimenti essere seri.
Trump stesso in qualche modo ha fatto capire che se l’Ue acquisterà più Gnl e petrolio dagli Stati Uniti si potrà riequilibrare una situazione che oggi negli scambi tra le due coste dell’Atlantico favorisce maggiormente l’Europa.
Certamente questo è un tema già in discussione. Non so, però, quanto effettivamente si possa aumentare la produzione americana di materie prime energetiche, fattore non secondario per determinare i prezzi a cui poi l’Ue dovrebbe acquistarle. Bisognerebbe chiedersi in ogni caso se andando in questa direzione l’Europa non corra il rischio di cadere in una nuova eccessiva dipendenza per gli approvvigionamenti energetici, dopo quella dalla Russia, che andrebbe invece limitata.
La strategia di medio termine illustrata martedì a Davos da Ursula von der Leyen prevede per l’Ue un mix di energia pulita dato da rinnovabili e nucleare. Nel breve periodo resta, invece, indispensabile ricorrere alle fonti fossili?
Credo che nessuno lo possa mettere in dubbio. Ci vorrà del tempo per avere a disposizione nuova energia nucleare, l’importante è attrezzarsi fin da subito per questo obiettivo. E anche per far sì che le rinnovabili garantiscano sufficienti quantità di energia indipendentemente dalle condizioni climatiche serviranno innovazioni, investimenti e tempo.
E anche sulle rinnovabili c’è il rischio di generare una nuova dipendenza, in questo caso dalla Cina, da cui arrivano la gran parte dei pannelli fotovoltaici, degli accumulatori e delle turbine eoliche utilizzate in Europa…
Sì è così. Occorre cautela anche su questo fronte.
A proposito di energia, il Presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha invocato un intervento per ridurre i prezzi dell’elettricità in Italia, che sono più alti rispetto ad altri Paesi europei, penalizzando le nostre imprese. Cosa si può fare su questo fronte?
Non possiamo dimenticare la grande fiscalità presente nelle bollette italiane. Agire su questo fronte, visti i vincoli di bilancio che abbiamo, non è semplice. Tanto per cominciare, andrebbe disboscata la selva dei trattamenti di favore che caratterizzano ancora in misura significativa il nostro sistema fiscale. Inoltre, con ogni probabilità bisognerebbe prendere atto che esistono priorità del Paese diverse da quelle di 30 o 50 anni fa e che, conseguentemente, la struttura della spesa pubblica andrebbe e rivista per tenere conto di questo diverso ordine di priorità.
Può farci un esempio di priorità cambiate rispetto al passato?
Credo che sarà inevitabile nei prossimi anni vedere un incremento della spesa per la difesa. Probabilmente sarà possibile farvi fronte solo in parte mediante il ricorso a debito comune europeo, mentre resterà a carico dello Stato. Questa priorità dovrà, quindi, sostituirne un’altra attuale, non aggiungersi alle altre, perché altrimenti non saremo in grado di sostenerle tutte.
Torniamo a Davos e alle parole di Ursula von der Leyen. Che idea si è fatto della “bussola della competitività” presentata dalla Presidente della Commissione europea?
Mi sembra che si inserisca nel solco del Rapporto Draghi, che reputo molto appropriato per quanto riguarda la diagnosi, meno nell’indicazione della terapia. Non so, infatti, quanto fare riferimento al binomio risorse-riforme possa effettivamente risolvere i problemi europei, che mi sembrano legati al fatto che l’Europa ancora non ha compreso che per poter seriamente pensare di raggiungere i suoi principali competitor occorre una libertà di movimento per imprese e cittadini di molto superiore a quella oggi disponibile: va abbandonata la logica per cui la prima cosa da fare di fronte a qualunque fenomeno è regolarlo.
Occorre allora cercare di diminuire l’eccessiva regolamentazione europea?
Non basta semplicemente togliere le regole. Il problema di fondo è la logica che ispira gli atti della Commissione europea, che, come tutte le burocrazie, perpetua se stessa nel sistema delle regole. Occorrerebbe cambiare “la testa” della Commissione e per raggiungere questo risultato bisognerebbe far sì che smettesse di essere un organo essenzialmente tecnico com’è oggi per diventare un Governo politico.
Si tratta di un passaggio piuttosto difficile da realizzare.
Certamente. Il Rapporto Draghi evidenzia i limiti istituzionali dell’Ue, ma il problema vero sta nella logica istituzionale che oggi caratterizza l’Unione. Oggi siamo ben lontani dall’avere una volontà comune europea necessaria ad andare nella giusta direzione, ma senza questo passaggio difficilmente avremo ciò di cui abbiamo veramente bisogno, cioè restituire a cittadini e imprese europei la libertà di provare, sperimentare, tentare strade nuove, in qualche caso fallire.
(Lorenzo Torrisi)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.