Il referendum sul Jobs Act poteva essere un'opportunità se fossero emersi con significatività anche i no
Larghi settori della politica e delle parti socialiin Francia vorrebbero un referendum sulla riforma delle pensioni: in mezzo al guado da tre anni e ormai fattore di paralisi per l’intero sistema-Paese. Il Presidente Emmanuel Macron però resiste: temendo che un no popolare alla riforma (non improbabile secondo i sondaggi) possa segnare la fine anticipata del suo mandato.
È vero anche che se la riforma pensioni fosse respinta a suffragio universale ne uscirebbe aggravata la situazione finanziaria della Francia, già fuori controllo secondo i parametri Ue e quindi più a rischio sul mercato del debito.
In Italia, invece, fra tre settimane un referendum si terrà e su un’importante riforma economica recente come quella varata dal Jobs Act. I dettati costituzionali italiani hanno imposto l’approccio abrogativo e questo contribuisce in partenza a depotenziare l’esito della consultazione: al di là del probabile nulla di fatto legato al mancato raggiungimento del quorum.
È verosimile, comunque, che si rechi alle urne solo chi è motivato a cancellare il Jobs Act: l’istanza che prevedibilmente uscirà vincitrice virtuale – anche se non reale – in un voto cui gli osservatori assegnano da tempo una finalità diversa e puramente politica (un regolamento di conti all’interno della sinistra italiana).
Si sta peraltro perdendo un’occasione importante. La riforma del mercato del lavoro varata ormai una decina d’anni fa (dal centrosinistra di Matteo Renzi) aveva respiro ambizioso e innovativo. E ha certamente dovuto misurarsi – oltreché con le immancabili resistenze politico-sociali a ogni macro-cambiamento – anche con le avversità imprevedibili e gigantesche portate dalla pandemia e dalla crisi geopolitica.
Non prima che – comunque – il Pd del Jobs Act venisse sconfitto alle urne a favore di M5S che aveva già sette anni fa tra le sue priorità l’abrogazione della riforma, sostituita per cinque anni dall’assistenzialismo del Reddito di cittadinanza.
La contro-riforma imposta dalla stessa sinistra italiana è comunque già stata superata dalla nuova maggioranza di centrodestra: che a quasi tre anni da una netta affermazione elettorale avrebbe potuto entrare nel campo referendario per un confronto di merito sulle politiche del lavoro in Italia, contigue alle politiche industriali e della scuola, ancora nella prospettiva del Pnrr.
Se c’è un terreno sul quale il Governo Meloni continua a faticare è nell’imprimere una propria accelerazione al “motore” produttivo del Paese: dialogando con imprese e organizzazioni sindacali. Il referendum sul Jobs Act poteva essere un’opportunità: se – oltre alla valanga di sì annunciati per l’abrogazione – fossero emersi con significatività anche i no. I no alla restaurazione di una struttura novecentesca delle relazioni sindacali e soprattutto dei canali di accesso al lavoro; cioè i sì al rilancio del Jobs Act in un’Azienda-Paese che vuole rimanere dinamica e competitiva.
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