Sembra essere il momento di una riforma non solo del sistema radiotelevisivo, ma anche dell'intera industria dei media

Forza Italia presenta oggi a Roma un disegno di legge di riforma del sistema radiotelevisivo. Appare un annuncio importante. Forza Italia è il partito fondato e guidato per trent’anni da Silvio Berlusconi: all’inizio di una Seconda Repubblica modellata in misura non trascurabile sul duopolio Rai-Mediaset e attraversata da questioni mai risolte di conflitto d’interesse fra politica e informazione.



E a illustrare oggi le proposte di FI vi sarà Maurizio Gasparri: a cui è intitolata la versione più recente dell’originario “decreto Mammì” del 1990. Lui stesso, quindi, riconosce la necessità di un riordino normativo del “sistema radio-televisivo”: categoria di per sé obsoleta nell’era dell’informazione digitalizzata e globalizzata.



In attesa di esaminare le ipotesi operative è quasi scontato augurarsi che esse rispondano agli interessi dell’Azienda-Italia dentro il Sistema-Europa (che ha più volte sollecitato Roma a superare gli assetti attuali). La riforma in cantiere avrà quante più chance di aumentare la competitività del Paese quanto meno sarà in continuità con il “mercato” – più chiuso che regolato – degli ultimi 35 anni.

La stessa Mfe-Mediaset si sta segnalando per un forte dinamismo imprenditoriale sul mercato tv e finanziario, con l’Opa sulla tedesca ProsiebenSat1 e con la strategia di piattaforma europea della tv commerciale. Una realtà come Mediaset, d’altronde, continua a vantare con parecchia legittimità il diritto a essere eventualmente protetta dai golden power in caso di aggressione: ma questa “italianità” può ancora estendersi alla pretesa da circoscrivere in un oligopolio il mercato nazionale della tv commerciale?



Parimenti: la Rai può ancora riempire del suo servizio pubblico – pagato con il canone – una parte rilevante  di un oligopolio stretto, sostanzialmente limitato a un competitor privato?

Ma non è che una questione sul tavolo, quando Big Tech preme da ormai due decenni alle porte dell’Europa, ora perfino nella sua proiezione nella “space economy”, passando naturalmente per l’IA. All’estremo opposto c’è la tiratura complessiva della tradizionale stampa cartacea, ormai di poco superiore al milione di copie: un decimo rispetto al 1990.

C’è quindi, fra l’altro, l’allarme costante riguardo la continuità della professione giornalistica in Italia, con un non infondato allerta sul ruolo di una stampa pluralista in una società democratica. Di qui gli appelli reiterati di editori e giornalisti per aiuti pubblici straordinari. Che probabilmente non sarebbero privi di giustificazione in una fase eccezionale di riassetto dell’intera media industry (sulla falsariga delle agevolazioni previste dalla riforma bancaria del 1990 per le concentrazioni).

Senza naturalmente dimenticare l’innovazione: sviluppata da numerosi media nativi digitali che in numero sempre maggiore hanno superato con successo la dimensione di più start-up e da tempo sostengono in misura importante l’occupazione giornalistica, soprattutto quella giovanile.

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