La conclusione del Vangelo di questa domenica apre una domanda grande su quello che ci è stato dato e affidato
“A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Lc 12, 48). Si chiude così il brano di Vangelo di questa domenica, aprendo la domanda circa la realtà di ciò che ci è stato dato e affidato. In cosa consiste precisamente?
È lo stesso Gesù a dirlo esplicitamente: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12, 32). Da subito la Chiesa ha intuito che l’espressione “Regno di Dio” altro non è che un modo per identificare la persona stessa del “Figlio del Re”, Cristo, come ebbe modo di sottolineare anche Papa Francesco: “Tema centrale nel Vangelo di Gesù è il regno di Dio.
Gesù è il regno di Dio in persona, è l’Emmanuele, Dio-con-noi. Ed è nel cuore dell’uomo che il regno, la signoria di Dio, si stabilisce e cresce. Il regno è, allo stesso tempo, dono e promessa. Ci è già stato dato in Gesù, ma deve ancora compiersi in pienezza. Perciò ogni giorno preghiamo il Padre: Venga il tuo regno” (Papa Francesco, dal Messaggio per la XXIX Giornata Mondiale della Gioventù).
Il dono di Dio è il Figlio, così che quel “molto” possiamo in realtà intenderlo come “tutto”: ci è stato dato tutto. Ma quante volte, nel quotidiano, il punto di partenza è la consapevolezza di aver ricevuto tutto? E quante volte dobbiamo, invece, fare i conti con la tentazione delle conseguenze, con quel “molto sarà chiesto” e “sarà richiesto molto di più” che, volenti o nolenti, ci distoglie dallo stupore per ciò che ci è stato dato insinuando la preoccupazione circa quello che saremo in grado di restituire? Ciò che viene prima è il dono, che si presenta come la ragione adeguata proprio per “non temere”. E possiamo non temere pur nella consapevolezza di essere un “piccolo gregge”.
La certezza non è data da ciò che saremo in grado di non sciupare o di restituire, e nemmeno dal numero di quelli che entreranno a far parte del “gregge”, ma dalla definitiva preferenza di Chi ha fatto, del dono totale di sé, l’atto che precede ogni altra possibile iniziativa. Qualsiasi azione, qualsiasi risposta, qualsiasi impeto, dovrà fare i conti con quel “prima” del dono.
Il tempo dell’estate diventa per tanti l’occasione di tornare a guardare la realtà, mettendo ancora in conto la possibilità di stupirsi per ciò che l’uomo non ha fatto e che viene prima di ogni sua opera. Spesso il cielo diventa, in questo, il primo e più grande alleato, come suggerisce il giorno di San Lorenzo, drammaticamente descritto da Giovanni Pascoli nella sua poesia X agosto: “E tu, Cielo, dall’alto dei mondi / sereni, infinito, immortale, / oh! d’un pianto di stelle lo inondi / quest’atomo opaco del Male!”.
Il metodo di Dio è stato, sin dal principio, un’inondazione di grazie e di doni composti in una discrezione tale da poter essere ignorati e, al tempo stesso, dotati di un magnetismo unico per il cuore umano. La vera “opacità del Male”, perciò, è aver ricevuto tutto, essere inondati “d’un pianto di stelle”, avere coscienza di esistere potendo dare del tu al Cielo, e scappare nelle braccia del cosiddetto “concreto” senza commuoversi fino in fondo.
Per questo esiste il cielo con le sue stelle che brilleranno e cadranno stanotte. Per questo sorgerà di nuovo il sole domattina, si alzerà l’aria con le sue carezze, si agiteranno le onde del mare. Solo per questo un uomo si alzerà in attesa di quell’impeto di vita generato dalla corrispondenza del suo cuore con tutto quello che ha ricevuto in dono. E che viene prima.
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