L'opera di MPS su Mediobanca si è conclusa in modo positivo. Adesso il “centauro” di Enrico Cuccia potrebbe ritrovare nuovo slancio
Mediobanca è stata fondata nell’estate 1946, poco dopo la nascita dell’Italia repubblicana, ed è rimasta pressoché uguale a se stessa fino ad oggi. È stata condotta per più di mezzo secolo in autonomia dal fondatore Enrico Cuccia e poi per un altro quarto di secolo dai suoi successori, scelti da lui (l’ultimo è l’amministratore delegato uscente Alberto Nagel).
L’istituto ha conquistato rapidamente la propria indipendenza rispetto all’Iri e l’ha difesa in seguito contro ogni assalto della politica piuttosto che del mercato. È stato protagonista ineguagliato della finanza italiana: dalla nazionalizzazione dell’Enel al culmine del boom economico, alla “madre di tutte le Opa” su Telecom, a compimento delle privatizzazioni di fine secolo, quando l’Antitrust certificava una posizione largamente dominante sul mercato italiano dell’investment banking. Appannata nel suo primato in questo secolo – dopo l’uscita di scena di Cuccia e del delfino Vincenzo Maranghi –, Mediobanca rimane dopo più di cinquant’anni azionista “dominus” delle Generali, la più importante istigenertuzione finanziaria italiana.
Ora – dopo il pieno successo dell’offerta d’acquisto di Mps – tutto cambia: anche se, a ben guardare, la rottura non appare assoluta. Montepaschi è una banca come lo erano Comit, Credit e Banco di Roma, fondatrici di Mediobanca ed esse pure allora a presenza pubblica, dopo essere state salvate dallo Stato un decennio prima.
Francesco Gaetano Caltagirone e gli eredi di Leonardo Del Vecchio sono presenze di primo piano nel grande capitalismo nazionale odierno, non diversamente dalle famiglie Agnelli, Pirelli o Ligresti – o da ultimo anche Berlusconi – via via entrate nel “salotto” di Via Filodrammatici; via via coinvolte nella “galassia” dei grandi affari fra finanza e industria.
Certo, laddove in passato gli azionisti privati di Mediobanca detenevano quote di assoluta minoranza, sempre controllate dal management e spesso reciprocate negli assetti dei grandi gruppi nazionali, Caltagirone e Delfin hanno via via scalato Mediobanca, raggiungendone posizioni sempre più rilevanti prima di sferrare l’assalto finale attraverso Mps. Che è riuscito infine a forzare il portone di Piazzetta Cuccia, battendo la “Mediobanca di ieri” con un’operazione da manuale dei mercati.
Gli anni Venti di questo secolo sono profondamente diversi dagli anni Sessanta o Novanta del secolo precedente. E già nell’ultimo anno del XX secolo – un anno prima della scomparsa – Mediobanca stessa si era messa al vento impetuoso della globalizzazione finanziaria ponendosi alla testa dell’Opa Telecom, peraltro appoggiata dal governo allora in carica e con il fine di proteggere se stessa da un primo attacco portato da banche e mercati.
L’istituto non ha mai cessato di essere un “centauro” (copyright di Cuccia stesso): nella proprietà e nella strategia (esemplare l’accompagnamento trentennale del gruppo Montedison, nato dagli indennizzi Enel e finito nell’avventura Enimont). Non ha mai smesso di interpretare e orientare – con capacità uniche – le traiettorie di un capitalismo nazionale rimasto “misto” anche dopo il ventennio in cui Mediobanca era stata incubata e Cuccia era cresciuto come tecnocrate.
La stagione dei global players della turbofinanza sembra finita, in un’economia che si va de-globalizzando e ri-statalizzando. È possibile – e forse auspicabile, in attesa che Mps definisca il suo masterplan dopo l’acquisizione – che in questo scenario di grande cambiamento, non diverso da quello dell’immediato secondo dopoguerra, Mediobanca ritrovi smalto nel rilanciarsi come banca d’affari leader in Italia, economia-chiave della Ue.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.